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Stato dei partiti non partitocrazia
STATO DEI PARTITI NON PARTITOCRAZIA

STATO DEI PARTITI
NON PARTITOCRAZIA
di
Fulco Lanchester


Sommario:1-Premessa; 2- La mancata regolazione del partito politico. 3-Le due fasi della storia della Costituzione repubblicana e l’ordinanza n. 79 della Corte costituzionale ;4- La progettazione riformatrice dell’ultima legislatura;5-Conclusioni.

1- Premessa- In questi ultimi mesi è stata rilanciata l’attenzione sulla attuazione dell’art. 49 della Cost., in un momento in cui la liquefazione del sistema partitico della seconda fase della storia costituzionale repubblicana sembra prefigurare una vera e propria crisi di regime, con pericolo che la stessa si trasformi in crisi societaria.
Il titolo di questo breve intervento, che nella parte finale esamina in maniera succinta anche i principali progetti di legge presentati nel corso della XVI legislatura, fa esplicito e quasi provocatorio riferimento ad una relazione presentata da Giuseppe Maranini nel maggio del 1960 ad un Convegno su Il controllo democratico dei partiti e dei sindacati, che si tenne presso la Facoltà di Scienze politiche di cui lo stesso Maranini era Preside. Il riferimento non è soltanto ad un personaggio rilevante per la discussione sul partito politico e il sistema elettorale, ma ad un momento specifico della storia d’Italia in cui si è parlato di partiti e della loro regolazione sulla base di alternative che ancora oggi sono presenti e che, pur nel differente contesto, paiono iscriversi nella continuità della storia costituzionale e della storia della Costituzione repubblicana.. Esso diviene quindi interessante per introdurre una breve disamina di come il tema, anche di recente, venga trattato sia dai soggetti politici, sia dalla cosiddetta dottrina e di come sia necessario un deciso salto di qualità al fine di superare le tradizionali remore e timidezze che caratterizzano il settore.
In occasione di quel Convegno (si era nel pieno della controversa esperienza Tambroni) Maranini, che nel 1949 aveva introdotto nel dibattito internazionale il concetto di partitocrazia (implicitamente all’attenzione dello stesso mondo politico-culturale francese della IV Repubblica ), pose in evidenza la necessità di istituire uno Stato dei partiti regolato al posto della partitocrazia imperante. Non si trattava di un rifiuto dei partiti politici e della loro funzione negli ordinamenti democratici, sibbene della presa d’atto della necessità di una loro opportuna ed incisiva regolazione, anche sulla base del coevo dibattito tedesco che aveva visto le critiche di Konrad Hesse alle posizioni di Gerhard Leibholz. A dimostrare l’importanza del tema e la sua dimensione europea, ricordo che quasi un anno e mezzo prima l’Unione dei giuristi cattolici si era, invece, impegnata in un convegno sullo stesso argomento e che molti dei relatori coinvolti avevano espresso una posizione fortemente negativa nei confronti di qualsiasi intervento dello Stato nella regolazione del partito politico . Venne in questo modo in sostanza confermata la posizione di Pietro Rescigno, che nel 1956 aveva sostenuto che il partito dovesse possedere una natura strettamente privatistica e che solo su quella base dovesse essere regolato . Nel corso del Convegno romano , tenutosi nel mese di dicembre del 1958, si era anche avuta la straordinaria abiura di Costantino Mortati, autore con Basso di progetti di regolazione partito politico nell’ambito della Commissione dei 75 dell’Assemblea costituente. Mortati aveva sostenuto che “l’esperienza si era incaricata di dimostrare che tutto era una illusione” e che le ipotesi di regolazione del partito politico “nella nuova atmosfera di contrasto radicale di interessi fra partiti” rischiavano di “tradursi in strumento di persecuzione contro quelli dell’opposizione ,con grave danno per le esigenze del dinamismo sociale particolarmente avvertito nel nostro paese” . Mortati aveva esplicitamente riconosciuto, quindi, che la frattura del 1947(ma soprattutto la situazione post-18 aprile 1948) avevano reso impossibile la regolazione del partito politico così come essa era stata ipotizzata dalla parte più attenta del ceto politico costituente. E che simili pericoli non fossero solo teorici lo confermò lo stesso Convegno fiorentino nel corso del quale Alfonso Tesauro si spinse a sostenere - contrastato dallo stesso Maranini - che nel settore specifico potessero essere ammissibili se non addirittura auspicabili interventi amministrativi affidati ai prefetti.

2- La mancata regolazione del partito politico-La indubbia novità rappresentata dall’art. 49,Cost., che aveva evidenziato la fuoriuscita dalla Ignorierung dello Stato liberale del partito politico nello Stato democratico di massa,dal punto di vista sostanziale era-dunque- rifluita nell’ambito della regolazione del diritto di associazione, di cui all’art. 18 Cost. In Italia lo Stato dei partiti, che era succeduto allo Stato autoritario a tendenza totalitaria del ventennio fascista, era divenuto egemone sin dalla “svolta di Salerno” e, già nel periodo Costituente, aveva dimostrato l’incapacità di autoregolarsi opportunamente. Questa constatazione si rafforzò dopo il 18 aprile 1948 con lo spostamento dell’interesse dalla regolazione del partito politico nell’ambito del circuito democratico al sistema dei partiti, ovvero alla necessità di integrare formazioni politiche con tendenze centrifughe. La grande frattura del 1948, che aveva alle sue spalle la complessa vicenda della storia costituzionale italiana, aggravò e confermò l’anomalia sistemica che fin dall’Unità aveva caratterizzato l’ordinamento costituzionale. E’ significativo che ancora nel gennaio - febbraio del 1948 i Leopoldo Elia, nel suo primo articolo su Cronache sociali , avesse evidenziato che negli Statuti dei partiti vi erano due aree che possedevano un’ interesse pubblicistico: da un lato i diritti degli iscritti, dall’altro la selezione dei candidati. Si trattava degli ultimi scampoli di una impostazione regolatrice, all’interno dell’alveo costituente in cui avevano agito in maniera consequenziale sia Basso che Mortati , che non poteva essere più sostenuta, vista la contrapposizione che caratterizzava i partiti dello stesso cosiddetto arco costituzionale .
Nel periodo successivo alle elezioni del 18 aprile 1948 sia Mortati che Elia sposteranno, infatti, il loro interesse sempre più verso il tema dell’integrazione del sistema dei partiti nell’ambito dell’applicazione della Costituzione repubblicana, reagendo con diffidenza alle polemiche antipartitocratiche di Giuseppe Maranini e alle stesse proposte regolatrici di Luigi Sturzo.
D’altro canto il dosso della prima legislatura - con la approvazione, da un lato, della legge Scelba e, dall’altro, della legge elettorale con premio di maggioranza- aveva costituito un vulnus, che il periodo successivo, soprattutto dopo il 1955, aveva cercato di risanare con la strategia integratrice della applicazione della Costituzione.
Il citato dibattito tra il 1958 e il 1960 si inseriva, dunque, in questo clima, aggravato dalle convulsioni della crisi del centrismo, dalle resistenze alla svolta verso il centro-sinistra e dallo spauracchio degli avvenimenti francesi del 1958. Non è un caso, ad es., che un giurista cattolico come Serio Galeotti avesse ricordato proprio nel Convegno del dicembre 1958 gli avvenimenti francesi e il pericolo che la degradazione del politico comportasse una crisi di legittimazione del regime fondato sui partiti, mentre –sempre in quell’occasione- Mortati confermava l’importanza della regolazione delle funzioni pubblicistiche( selezione dei candidati) svolte dai partiti.
Il dibattito successivo sul tema vide, da un lato, l’interesse di Maranini per il modello tedesco di Stato dei partiti regolato, che nel 1966 vedrà l’intervento del Bundesverfassungsgericht e nel 1967 si sostanzierà nel Parteiengesetz .
Ma negli anni Sessanta questa posizione interventista nell’alveo di una implementazione democratica venne sopravanzata dalla polemica che non voleva regolare i partiti, ma sostituirli attraverso il ricorso allo Stato amministrativo. Una simile impostazione si concretizzerà anche nella aspra prolusione del dicembre 1964, che Miglio pronunciò alla Cattolica (un atto d’accusa di sapore quasi eversivo) e di essa si sentiranno in seguito gli echi nei convegni di S. Pellegrino, Cadenabbia e Trieste, dove venne ,ad es., confermata la linea non intervenzionista di Elia nei confronti di quella di Galeotti e Zampetti.
Il problema italiano si trascina, dunque, dalle origini e si aggrava durante gli anni Sessanta in occasione del fallimento della scommessa di centro-sinistra. Esso potrebbe essere analizzato in contrapposizione a quello tedesco dello Stato dei partiti regolato , coinvolgendo la capacità di ceto politico e classe dirigente italiana a rispondere alle esigenze sistemiche. Nel decennio successivo la legge 195 del 1974 rappresentò il simbolo di un intervento in cui i partiti di un sistema in difficoltà introdussero finanziamento e rimborso senza controlli efficienti, rifugiandosi dietro lo schermo degli interna corporis delle Camere. Nel 1978, in piena emergenza terroristica e nell’ambito di Governi di unità nazionale, il primo referendum contro il finanziamento pubblico non ebbe successo grazie all’intervento decisivo del voto delle cosiddette regioni rosse . Quindici anni dopo una nuova consultazione popolare, affiancata a quella contro il sistema elettorale proiettivo del Senato, affondò la prima fase della Costituzione repubblicana, certificando quella che lo stesso Amato alla Camera dei deputati definì una vera e propria crisi di regime .
Le caratteristiche sregolate dell’ordinamento sono state confermate anche in seguito, ma con l’esistenza di una partitocrazia senza partiti. Le leggi del 1997 e del 1999, unite alla legge elettorale n. 270 del 2005(il cosiddetto porcellum), hanno-infatti- trasformato i meccanismi del finanziamento e della rappresentanza, introducendo il sistema della nomina la posto di quello della elezione ed acuendo una crisi di legittimazione, che di recente si è condensata in una sostituzione del politico-partitico con il politico - tecnico.

3. Le due fasi della storia della Costituzione e l’ordinanza n. 79/2006 della Corte costituzionale - Nel contesto di queste pagine è inutile soffermarsi più a lungo ragioni della marginalizzazione della regolazione del partito politico. In maniera sintetica preferisco ribadire che, in ambedue le fasi della vicenda costituzionale repubblicana, l’ordinamento italiano ha sempre convissuto con uno Stato dei partiti sregolato:
a. nella prima, con uno Stato dei partiti pesante e sregolato, caratterizzato da partiti organizzativi di massa, che dagli anni Sessanta si sono trasformati progressivamente in partiti pigliatutto e poi in partiti cartello;
b. nella seconda , con uno Stato dei partiti leggero, sempre sregolato con forti elementi di tipo plebiscitario e, al limite, di tipo personale.
Le ragioni per cui l´art. 49 Cost. è rimasto quello che era ed è stato interpretato in maniera non consona ad un ordinamento di democrazia pluralista regolato devono, dunque, essere recuperate nella storia costituzionale italiana e nella storia della costituzione repubblicana(l´esperienza della Inkorporierung fascista;la natura del sistema dei partiti alla base dell´ordinamento post-1943).Le proposte organiciste di Mortati e Basso e la stessa posizione souple di Elia del citato suo primo scritto su Cronache sociali(1948) non potevano, quindi, che portare ad uno spostamento del problema dalla regolazione del partito politico ai rapporti esistenti nel sistema dei partiti
Nei circa 60 anni di esperienza costituzionale repubblicana è stata confermata incapacità del sistema politico- costituzionale di integrare e di regolare i soggetti della competizione politica. Ciò costituisce un preoccupante indicatore di basso rendimento istituzionale che ci differenzia da altri ordinamenti (penso al caso tedesco, ma anche a quello francese e spagnolo).
Oggi appare necessario intervenire per dare un senso all´art. 49 Cost., che è rimasta una vuota copertura. I partiti non possono essere continuare ad essere considerati nella visione ottocentesca della Ignorierung (Triepel), come verrebbe fuori dall´ intepretazione restrittiva che alcuni forniscono della stessa ordinanza n. 79/2006 della Corte cost. Al contrario.Non si tratta di proporre una visione organicistica traendo nello Stato apparato il partito, ma di regolare quelle che sono le funzioni pubblicisticamente rilevanti dello stesso.
La Corte costituzionale ha infatti opportunamente affermato che “ i partiti politici vanno considerati come organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello Stato ai fini dell´art. 134 Cost”. A differenza di quanto previsto dal Grundgesetz, che li connette allo Stato apparato, il costituente ha incentrato la sua attenzione sui cittadini che attraverso i partiti concorrono con metodo democratico alla politica nazionale.La Corte costituzionale ha, però, anche evidenziato che i partiti devono essere valutati per le funzioni specifiche e indefettibili che esercitano all´interno del circuito democratico.
In questo senso ricordo che in materia è richiamabile la analoga posizione della Corte suprema statunitense che ha cambiato la sua giurisprudenza nella sentenza Smith v. Allwright del 1944) per quanto attiene alla democrazia infrapartitica, quando si colleghi con la selezione di cariche pubbliche.
Ricordo che negli Usa la domanda di una regolazione eteronoma dei procedimenti di selezione intrapartitica dei candidati trovò, da un lato, la resistenza degli apparati oligarchici dei partiti a tutti i livelli; dall’altro una giurisprudenza costituzionale che faticosamente abbandonò la posizione di non intervento nella materia intrapartitica. L’ overrule della Smith v. Allwright, 321 U. S. 649 (1944) rispetto a quanto stabilito nella Grovey v. Townsend, 295 U.S. 45 (1935) ha spiegazioni molteplici, ma può essere senza dubbio considerato come una pietra miliare nella giurisprudenza della Corte suprema ed anche uno degli strumenti di avvio della azione riformatrice della stessa dagli anni Cinquanta in poi.
L´implosione del sistema nel 1992/93 è stata tra l’altro causata dalla persistente carenza di regolazione del settore che stiamo esaminando e negli anni successivi il fenomeno si è aggravato , richiedendo che si affronti in maniera incisiva e complessiva le fasi pubblicisticamente rilevanti della vita infrapartitica: chi sono gli iscritti(diritti e doveri),come vengono selezionate le candidature,e poi la legislazione elettorale di contorno(incapacità,ineleggibilità,rimborso,finanziamento, comunicazione politica). Gli esempi stranieri ci dicono che per quanto riguarda la natura del partito politico, la regolazione della dinamica intra e interpartitica l’ordinamento italiano è rimasto immobile e anzi ha compiuto passi indietro. E’ necessario superare l´idea della democrazia infrapartitica come pura mobilitazione e giocare per una sua rivitalizzazione all´interno del circuito democratico caratterizzato dalle votazioni in collegi di vario tipo.
La regolazione del settore della rappresentanza in campo politico ed in particolare quella relativa alla partecipazione all’atto elettivo è- dunque- rimasta ad uno stato primitivo e la ventata di antipolitica rischia evocare soluzioni facili e demagogiche. A mio avviso, proprio in momenti di crisi e di confusione, bisogna osare di essere noiosi, ribadendo alcuni punti essenziali,riaffermando:
in primo luogo, la coessenzialita` dei partiti agli ordinamenti democratici e rappresentativi ;
in seconda istanza, la indispensabilità di una regolazione degli stessi per le funzioni di tipo pubblicistico da essi svolte;
infine, la necessità di regolare in maniera unitaria il settore delle votazioni elettive e deliberative, considerando che il tema del partito si inserisce a pieno titolo all’interno del tema della legislazione elettorale ed in particolare di quella relativa sia al sistema elettorale in senso stretto sia a quello dellal legislazione elettorale di contorno.

4- La progettazione riformatrice nell’ultima legislatura - L’analisi dei progetti in materia conferma il tatticismo e la frammentazione, che da molti anni affligge il settore. Se ci si limita a quelli presentati alle Camere nell’ultima legislatura , è evidente che essi risentono anche molto del clima in cui sono stati presentati e del progredire delle difficoltà sistemiche . Anche se in modo insufficiente, sta senza alcun dubbio progredendo la consapevolezza della connessione complessiva del tema della natura del partito politico con quello del finanziamento e rimborso delle spese elettorali. Circa un terzo dei progetti di legge presentati prevede, infatti, come condizione necessaria per accedere a qualsiasi sovvenzione pubblica, la regolamentazione della natura giuridica dei partiti politici. L’inizio della corrente legislatura (2008) richiamava, però, ancora una situazione di sufficiente normalità, che si rifletteva nella genericità tendenziale dei progetti; gli scricchiolii si sentono, invece, già in quelli del 2011;mentre è significativo che solo gli ultimi progetti definiscano cosa sia partito politico e la sua funzione elettorale. Gli altri continuano ad essere ancora schiacciati sull’art.18 della Cost. rispetto all’art. 49 ed al concorso alla politica nazionale. Ancora oggi molti progetti, anche quelli che riconoscono personalità giuridica alle formazioni politiche(elemento per cui oramai siamo buoni ultimi in Europa), non sempre definiscono correttamente la funzione delle stesse.
Mentre progetto del radicale Turco prevede il riconoscimento della personalità giuridica dei partiti “ ai sensi dell´articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361.” (Art.1, co. 1), i progetti Vitale e altri e quello Chiaromonte-Carloni si oppongono significativamente al riconoscimento della personalità giuridica del partito, ponendosi nell’ambito della tradizionale interpretazione autolimitatrice dell’art. 49 .
All’inizio di quest’anno solo il progetto Gozi ( e in parte quello Casini ) definisce in modo corretto la funzione elettorale del partito ,avvicinandosi al richiesto e ponendo anche dei limiti temporali alla nascita e scomparsa delle formazioni politiche, anche al fine di evitare l’incubo dei partiti zombie, che dalla riforma delle regole sul rimborso del 2006 hanno caratterizzato l’ordinamento.
In particolare è da segnalare la definizione minimale, ma finalmente sufficiente di partito, che viene fornita dal progetto Gozi(art.1):ovvero “le associazioni di cittadini che, in forma organizzata, partecipano alle elezioni” a tutti i livelli da quello europeo fino a quello dei comuni superiori ai 15.000 abitanti, anche se lo stesso immette un pesante privilegio partitico per chi abbia eletto almeno un rappresentante all’interno degli organi previsti nelle consultazioni precedenti.
Pochi sono i progetti che tengono conto del problema della selezione delle candidature e della democrazia infrapartitica sotto il profilo degli iscritti e questo perché i modelli di partito e gli interessi pragmatici sono molto incisivi in argomento.
Il progetto Sposetti si occupa meritoriamente delle Fondazioni , ma dovrebbero essere rafforzati i controlli. Alcuni progetti coinvolgono anche la Corte dei conti, ma il problema è quello di controlli incisivi e non solo cartolari, che - come si è visto- lasciano il tempo che trovano. Gli interventi sui rimborsi elettorali sono utili sia per quanto riguarda la riduzione degli stessi, sia per quanto riguarda la loro spalmatura nel tempo. Il progetto Veltroni-Vassallo risulta,invece, significativamente concentrato sul problema della selezione infrapartitica dei candidati a cariche pbbliche, con una particolare attenzione agli incentivi che possano favorire comportamenti virtuosi. Tutti i progetti non hanno ancora superato tuttavia la fase tribunizia per arrivare alla impostazione di un testo che:
a. consideri il tema della regolazione del partito politico all’interno della complessiva legislazione elettorale ed in particolare di quella definità come legislazione di contorno;
b. preveda regole interne democratiche con riferimenti articolati alle strutture nazionali e locali con specifico riferimento ai diritti degli iscritti;
c. regoli in maniera incisiva la selezione dei candidati alle elezioni ai vari livelli;
d. preveda regole per il rimborso delle spese elettorali

In conclusione, il difetto delle proposte autoregolative che non affrontano di petto l’argomento è che, se gli avversari non le utilizzano, si rischia di doverli inseguire in comportamenti disfunzionali e inammissibili per un ordinamento democratico.
Ne consegue che la giusta pulsione verso il recupero di una forma partito deve quindi sposarsi con la necessità che la regolazione eteronoma ed autonoma dello stesso risponda alle indefettibili esigente della forma di Stato di democrazia pluralista nell´era della comunicazione.
I progetti di legge che sono stati presentati nell’ultimo quindicennio articolano troppo la possibilità di una autoregolazione incentivata da premi e ricorrono troppo poco alla soluzione della regolazione eteronoma, che può arrivare fino a quella argentina, ma che trova nella soluzione statunitense un equilibrio sufficiente.


5-Osservazioni finali- La road map che alla fine del 2011 i partiti, formalmente commissariati, si erano posti agli esordi del Governo tecnico politico di Mario Monti era stata non soltanto quella di resistere alla speculazione internazionale sul sistema Italia, ma di rilegittimare il patto tra ceto politico ed elettorato oramai ai limiti della crisi di regime, cercando di evitare la crisi societaria. In questo quadro si era ipotizzato di intervenire in maniera mirata e progressiva sul settore della cosiddetta rappresentanza in campo politico. Il programma era vasto ed articolato e prevedeva la modifica in maniera sequenziale della normativa relativa al rimborso per le spese elettorali; l’introduzione di regole atte ad inverare quanto dichiarato nell’art. 49 Cost. in materia di partito politico; la riduzione del numero dei parlamentari, l’opportuna differenziazione del bicameralismo esistente ed il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio; la modifica, infine, della legge elettorale 270 del 2005(il cosiddetto porcellum), che tutti i partners criticavano almeno formalmente in maniera aspra.
Mentre sto redigendo queste note, ciò che molti avevano pensato ed alcuni avevano anche espresso su questo “vasto programma”, si sta sostanziando in un nulla di fatto. La previsione era facile, visto che a fine legislatura da oramai trenta anni si continua ad impostare la riforma che non si concretizza mai. E’ anche evidente che nella liquefazione del panorama politico-partitico una incisiva innovazione dell’assetto relativo alla normativa sulle votazioni elettive e deliberative ed alla forma di governo costituisce una mera illusione. Già il fatto che i partiti della cosiddetta coalizione ABC(Alfano, Bersani, Casini) avessero concordato di porre in fondo al percorso la modifica della legge elettorale diceva molto sulla solidità delle prospettive di innovazione. La legge elettorale( la normativa più importante, perché strettamente connessa al “regime” ed atta a distribuire le carte fra i contendenti) non poteva che essere posta in fondo alla lista, sulla base della necessità dei partner di individuare la portata della liquefazione in corso e dei suoi possibili sbocchi. D’altro canto, i risultati delle amministrative e i segnali provenienti dai sondaggi stanno convincendo i protagonisti dell’interesse inconfessabile di tenersi il porcellum, perché lo stesso è ancora l’unico strumento capace di assicurare un premio di maggioranza ed un’assicurazione di elezione alle oligarchie partitocratiche.
Sembra, quindi, che si sia ancora una volta di fronte ad un fallimento della iniziativa riformatrice dall’alto, mentre quella dal basso (mi riferisco a quella referendaria) sconta da una lato la rozzezza dello strumento, dall’altro la resistenza del ceto politico parlamentare . Queste note, al di là del destino della prospettiva riformatrice e dei prospettati pericoli di crisi societaria, vogliono invece riaffermare, proprio al fine di rilegittimare il rapporto tra società politica e istituzioni, l’importanza della cosiddetta legislazione sulle votazioni elettive e deliberative e la necessità di superare le persistenti remore ed i vincoli tradizionali alla regolazione giuridica del partito .
Sotto un profilo storico-costituzionale, una simile prospettiva viene confermata dal mutato contesto internazionale, dalla caducità delle pregresse ideologie, che esistevano in precedenza e dalle tecniche regolatorie del consenso ( il centralismo democratico e il manuale Cencelli), che amministravano le strutture originarie. In particolare , lo sviluppo dei rapporti geopolitici a livello globale, che pongono problemi rilevanti alle democrazie pluraliste dell’area euro-americana e problemi specifici dell’Eurozona ed in special modo a sistema italiano, evidenzia come sia necessario trovare regole comuni a tutti i soggetti politici dell’ordinamento e regole specifiche adatte alle specificità delle singole formazioni.