Martedì, 19 Marzo 2024  

MATERIALE DOCUMENTALE

IN EVIDENZA

PROGRAMMI DEI CORSI , MATERIALE DIDATTICO E INFORMAZIONI PER GLI STUDENTI

LINKS

ISTITUZIONI IN ITALIA

ISTITUZIONI NEL MONDO

LA RIFORMA COSTITUZIONALE ED ELETTORALE

LINKS UTILI

PROGETTO STRATEGICO CNR "SUPPORTO ALL'ATTIVITA' DEL PARLAMENTO" E RICERCHE PRIN

SCRITTI RECENTI

REFERENDUM ABROGATIVO E REVIVISCENZA

Federico II: alle origini dello Stato sociale

"NOMOS. LE ATTUALITA' DEL DIRITTO

CONVEGNI, ATTI E SEMINARI

Home » Introduzione al Seminario sull'ammissibilità dei referendum
Introduzione al Seminario sull'ammissibilità dei referendum
L'AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM IN MATERIA ELETTORALE INTRODUZIONE ALLA DISCUSSIONE

L'AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM IN MATERIA ELETTORALE
INTRODUZIONE ALLA DISCUSSIONE
DI
FULCO LANCHESTER
SOMMARIO: 1-Le ragioni della riunione; 2- La cronaca ; 3-Il contesto di lungo e di medio periodo; 4- I temi in discussione e i soggetti coinvolti ;5- I quesiti referendari del 2007;6-Conclusioni

1-Le ragioni della riunione - L'avventura del referendum sul sistema elettorale per le Camere si è aperta il 24 aprile con l'inizio della raccolta delle firme da parte del Comitato promotore. E' tempo dunque di discutere del tema dell'ammissibilità dei quesiti, che dovrà essere affrontato dalla Corte costituzionale. E' vero che la Corte costituzionale sarà investita della questione solo a metà dicembre, ma è anche evidente che è opportuno orientarsi sul problema prima di quella scadenza,anche perchè finora il dibattito in materia è stato insufficiente e generico.
Questo seminario è stato convocato proprio per riflettere sul tema specifico dei referendum in campo elettorale ed in particolare sui tre proposti dal Comitato Guzzetta - Segni. Sono stati invitati giuspubblicisti de "La Sapienza" e dell'area romana o assimilata , ma - in generale - persone che su questo argomento possono fornire un contributo critico , al di là di problemi di schieramento non eludibili nel contesto costituzionalistico .

Alcuni amici avevano suggerito di dare un taglio differente alla riunione, sostenendo l'importanza di una riflessione sul tema delle innovazioni elettorali da introdurre nell'ordinamento al fine di modificare la L.270 /2005 ed evitare i referendum in oggetto .
La presente impostazione deriva non soltato dalla necessità di evitare un tema usurato ed al di fuori della disponibilità dei singoli partecipanti ad una simile riunione,ma sopratutto dal fatto che da molte parti si ritiene scontato ( e a senso univoco) il fatto che i quesiti siano ammissibili senza approfondire a sufficienza il profilo giuridico della questione. Una simile posizione appare funzionale alla accentuazione della gravità della situazione di contesto in cui versa l'ordinamento politico-costituzionale ,in cui i soggetti politicamente rilevanti sembra che nulla facciano per mutare la situazione . D'altro canto , se tutto è deciso e il "pistolone" del referendum (per evocare l'immagine polemoerotica di Giuliano Amato) è carico, anche l'eventuale compromesso risulterebbe in gran parte nelle mani del Comitato,come ha cercato di far intendere recentemente Giovanni Guzzetta . Se invece si verifica che le polveri sono parzialmente bagnate , la discussione cambia prospettiva.
Bene è quindi anticipare i tempi della riflessione tecnica , controllando il torbido contesto climatico che sovrappone interessi sistemici a strategie partigiane .
L'incontro odierno si svolgerà in maniera semplificata e leggera ed ha lo scopo di ripercorrere ex ante una esperienza che ho già effettuato con la sent. n. 47 del 1991 ,in materia di preferenza multipla(Roma , Bulzoni,1992).
Allora censii e raccolsi ex post il materiale relativo alla decisione della Corte in tema di ammissibilità del referendum relativo alla preferenza multipla, che -da un lato - aprì la strada alla consultazione sul sistema elettorale in senso stretto del Senato del 1993 e che-dall'altro- convinse le Camere ad introdurre la legge n. 81 di quell'anno per evitare la consultazione sul sistema elettorale degli enti locali.
Oggi - come detto- ritengo sia utile anticipare i tempi per chiarire a noi e agli altri i termini della questione . Ritengo ,inoltre, che in sede universitaria questo non sia soltanto opportuno , ma doveroso e sfugga a qualsiasi tipo di critica ,sviluppatesi in maniera non limpida ancora recentemente che -formalmente- ha causato le dimissioni del giudice costituzionale Vaccarella.

2- La cronaca - Prima di iniziare con il giro di opinioni è indispensabile una premessa di inquadramento sul clima in cui si sta sviluppando il dibattito politico-costituzionale in argomento , sui precedenti, sugli elementi in discussione(sistema elettorale- referendum) e la loro vicenda in Italia ,sui quesiti proposti e la loro compatibilità con l'ordinamento costituzionale.
Parto dalla cronaca - La settimana scorsa è stato nuovamente rievocato lo spettro della crisi di regime del 1992 . L'on. D'Alema , in occasione della presentazione del volume di Luciano Violante Uncorrect. 10 passi per evitare il fallimento del Partito Democratico e , poi , in una intervista domenicale sul Corriere della Sera , ha fatto riferimento in modo plateale alla crisi di quindici anni fa ed ha implicitamente evocato da un lato la figura di De Gaulle con le istituzioni della V Repubblica , dall'altro Togliatti e l'esigenza di un partito di tipo nuovo.
Di fronte alla crisi di legittimazione del sistema politico il ragionamento appare crudo: non esistono a tutt'oggi in Italia istituzioni forti, simili a quelle gaulliste; non esistono partiti sufficientemente strutturati ,mentre il riallineamento del sistema partitico è ancora ampiamente in alto mare.
Alla base di un simile ragionamento , che coinvolge molti esponenti del gruppo dirigente dell'Ulivo(ma sopratutto dei DS), si pone sopratutto la necessità di una rilegittimazione del sistema politico , attraverso la costituzione di nuovo partito ,innovando formalmente dal basso un percorso che nel 1997 era stata proposto attraverso la sostanziale "rottura" della Costituzione sulla base del referendum popolare previsto dalla legge costituzionale n.1 di quell'anno.
A questa posizione corrisponde in altri settori del ceto politico una omologa esigenza di superare l'impasse attraverso forzature dei veti incrociati ,provvedendo alla creazione di nuovi soggetti politici . A destra si richiede il partito moderato ;a sinistra il partito socialdemocratico ,prefigurando strategie contraddittorie che vanno dal bipolarismo al multipolarismo . Gli strumenti per pervenire a simili obbiettivi non costituiscono, tuttavia , soltanto questioni di arredamento della "casa comune" , ma investono le stesse strutture dell'edificio .Qui si fuoriesce dall'ambito strettamente politico, per coinvolgere direttamente il testo della Costituzione vigente , la sua interpretazione , la modificazione delle sue stesse strutture anche attraverso le regole elettorali.

3-Il contesto di lungo e di medio periodo-Si potrebbe dire che non c'è nulla di nuovo e che si tratta di un ulteriore capitolo della transizione infinita che investe l'Italia dalla fine degli anni Sessanta e che ha avuto il suo primo capitolo incisivo al di fuori del quadro politico-istituzionale tradizionale all'inizio degli anni Novanta . Dal punto di vista storico si potrebbe affermare che ci si trova davanti alla persistenza di una tendenza di lungo periodo della critica al cosiddetto parlamentarismo ,con l'aspirazione alla formazione del partito democratico e a quello conservatore sulla base dell'esempio di altri ordinamenti democratici (V. Solmi 1924).
Una simile osservazione non tiene però conto che il quadro concreto è più preoccupante di quanto non appaia , perchè la crisi di ristrutturazione del sistema politico-costituzionale viene iterata in un contesto in cui gli altri ordinamenti europei di democrazia stabilizzata hanno risolto i loro problemi o li stanno risolvendo per via ordinaria . La questione italiana è ancora impantanata e rischia di spazzare anche le regole costituzionali. Il completamento della transizione prefigura - per alcuni - un superamento dell'assetto politico-costituzionale vigente ed evidenzia la cotraddizione tra chi pensa che il referendum confermativo fallito dell'anno scorso abbia rilegittimato il sistema e chi invece ripropone una strategia della rottura che sostanzialmente lo delegittima .
E' bene ricordare che in Italia - a differenza di altri ordinamenti di democrazia stabilizzata (Giappone, nuova Zelanda) - nel primo lustro degli anni Novanta si è verificata una vera e propria crisi di regime, cui si è connessa una riforma elettorale tendenzialmente maggioritaria . La crisi venne provocata da elementi strutturali accentuati dallo strumento istituzionale referendario . Attraverso l'utilizzazione del referendum abrogativo il circolo vizioso dell'innovazione istituzionale venne interrotto , ma la rozzezza dello strumento non ha favorito nè la stabilità nè il riallineamento . La legge elettorale del 1993 si è inserita in un panorama istituzionale derivante dalla convenzione proporzionalistica , modificando da un lato gli equilibri di garanzia, provocando dall'altro l'accentuazione di instabilità funzionale derivante dal bicameralismo paritario .
Il mancato riallineamento del sistema partitico , le innovazioni incoerenti e la sfiducia reciproca hanno portato alla approvazione della nuova legge 270 del 2005 , che per molti versi può essere definita come lo strumento tecnico che ha transitato l'ordinamento dal piano della elezione a quello della designazione.
E' bene riflettere che, dopo circa tre lustri, l'ordinamento costituzionale italiano pare ancora un cantiere confuso , in cui alla frammentazione accentuata si affiancano i tentativi di aggregazione. Sarebbero tutti segni tradizionali di una crisi di inefficienza che , nel quadro europeo sufficientemente stabilizzato, potrebbe far durare il sistema come la III Repubblica , ma le impedirebbe di innovare .
In questo specifico quadro lo strumento riproposto per rompere il circolo vizioso dell'innovazione è ancora una volta il referendum abrogativo,alle cui origini non si pone tanto l'opera di Serio Galeotti , ma quella di Marino Bon Valsassina,costituzionalista antisistema, che lo considerava nel 1966 "come un'arma assai efficace contro la partitocrazia" , capace di emancipare il suffragio universale dalla "mortificante e spesso aberrante tutela " dei "ceti partitanti".
In questo contesto il referendum elettorale proposto dal Comitato Guzzetta- Segni tenta di rinnovare la spallata del 1993 , ma lo fa sostanzialmente all'interno del sistema dei partiti . I referendum proposti uniscono alla brutalità del mezzo un senso fortemente ambiguo :in parte sposano infatti il classico spirito antipartitocratico ,in parte invece costituiscono uno strumento di completamento della transizione utilizzato da parte di settori del ceto politico in trasformazione .


4- I temi in discussione e i soggetti coinvolti - I poli della discussione sono -dunque- numerosi . Per quanto riguarda natura , funzioni ed evoluzione del sistema elettorale ed uso del referendum faccio riferimento ad alcuni contributi recenti (v. allegati) e non mi ripeto - La documentazione sulla dinamica italiana dello strumento referendario è recuperabile sul sito www.parlalex.it .Certo i referendum non sono tutti uguali , nè la giurisprudenza della Corte costituzionale è sempre stata lineare in materia .
Per quanto riguarda il primo profilo ,tra i più rilevanti referendum alcuni hanno riguardato diritti di libertà, altri hanno coinvolto direttamente il regime. Nel 1978 il referendum per l'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti venne respinto dal 56,4% dei votanti , nel 1993 i voti contrari furono solo il 9,7% ,nel 2000 i proponenti non riuscrono invece a raggiungere il quorum anche se il 71,1% dei votanti si dichiarò favorevole.
Il senso politico dei referendum 2007 è fortemente antipartitocratico e la previsione - in una situazione in cui il maggior successo editoriale del momento è il volume su La casta di Rizzo e Stella - è che il risultato sia quasi scontato , come sparare sulla Croce rossa.
Meno scontato è invece l'esito sotto il profilo giuridico ,mentre gli effetti a me paiono travisati da un duvergismo talebano, che caratterizza alcuni settori del mondo politico ed intellettuale italiano.
La Corte costituzionale ha cercato di mettere ordine nei criteri da essa utilizzati in materia referendaria sin dalla sent. 16 del 1978, ma non ha ancora risolto il tema strategico del limite alla manipolatività dello strumento ,anche se accenni interessanti possono essere recuperati dagli anni Novanta in poi.
Sul piano specifico dei referendum elettorali a me sembra che la Corte non possa rimanere inerte di fronte al continuo ridisegno delle regole e - sopratutto .- che essa debba iniziare a prendere in considerazione anche problemi sostanziali di compatibilità della normativa di risulta con l'ordinamento costituzionale.


5-I quesiti referendari del 2007 - Mi soffermo dunque sui quesiti referendari del 2007 , su cui si incentrerà la discussione di oggi .
I quesiti proposti sono tre ed investono la legge 270 del 2005 . E' opportuno concentrarsi sui primi due ,perchè il terzo (nonostante le riserve sul suo carattere manipolativo) risulta meno problematico, tendendo alla abrogazione delle candidature multiple. Il 1° e il 2° quesito si propongono , infatti, di abrogare il collegamento tra liste e la possibilità di attribuire il premio di maggioranza alle coalizioni di liste. Dalla normativa di risulta ,derivante dal ritaglio referendario, il premio di maggioranza viene attribuito alla lista singola (escludendo l'ipotesi della coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi,mentre per ottenere rappresentanza parlamentare le liste debbono comunque raggiungere un consenso del 4 % alla Camera e 8 % al Senato.
Ne consegue che la lista più votata ottiene ,dunque, il premio di maggioranza previsto (qualunque sia il numero di voti dalla stessa) , mentre le liste minori recuperano comunque una rappresentanza adeguata, purché superino lo sbarramento.A detta dei promotori il sistema elettorale risultante dal referendum dovrebbe spingere gli attuali soggetti politici a costituire un unico raggruppamento, nell'ambito di una prospettiva tendenzialmente bipartitica. La frammentazione si dovrebbe ridurre drasticamente,così come la litigiosità infracoalizionale.
A me sembra che le riserve giuridiche e tecniche sui quesiti proposti siano molteplici ed enunzio le principali .

5.1-In primo luogo non si è sufficientemente riflettuto se nel testo costituzionale possano rilevarsi limiti impliciti alla selettività ed alla manipolatività del meccanismo elettorale rispetto al principio di eguaglianza . Questo argomento venne approfondito come è noto in maniera funzionale alla polemica degli anni Cinquanta da Carlo Lavagna, il quale sviluppò una serie di ragionamenti sistematici . Nel periodo successivo agli anni Settanta la crisi progressiva della "convenzione proporzionalistica" ha eliminato il tabù della riforma elettorale ,ma non ha contribuito a considerare quali siano gli standard minimi del meccanismo di trasformazione dei voti in seggi compatibili con i supremi del nostro ordinamento .
Lavagna sostenne , nella temperie del 1952-53 , che le leggi elettorali "in quanto leggi ordinarie di rilevanza costituzionale ,debbono in modo particolarmente rigoroso adeguarsi alla Costituzione" (RTDP,1952,p.851). Di recente Pizzorusso ha sostenuto che "la materia elettorale non è esente dall'inquadramento in base ai principi generali dell'ordinamento giuridico ,ed in particolare in base ai principi costituzionali"(Astrid) . E' evidente che la tesi di Lavagna di una costituzionalizzazione della proiettività del sistema elettorale non può essere assolutizzata e che lo stesso Lavagna e più decisamente Mortati avevano nel tempo cambiato posizione .
L'adozione del principio maggioritario è dato incontroverso degli ordinamenti democratici , ma lo stesso non può espandersi senza limite. Il meccanismo elettorale può -infatti- essere forte o debole sulla base della selettività della combinazione dei fattori che lo compongono . E' però evidente che dubbi sull'applicazione di meccanismi forti si pongono quando il principio maggioritario insito nel premio venga applicato in collegio unico nazionale , per di più nell'ambito di una polverizzazione della rappresentanza e di un divieto di coalizione,in favore della formazione che abbia ottenuto la maggioranza semplice dei voti .
In merito al contemperamento tra esigenze di rappresentatività e di stabilità ed efficienza a me sembra che -senza altro commento in questa sede- molto abbia detto -nell'ambito di quel comune tessuto costituzionale europeo - la giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht sulla Sperrklausel , in una faticosa ma fattiva evoluzione rispetto a quella weimariana..

5.2-In secondo luogo la previsione che il premio di maggioranza venga attribuito senza alcuna soglia inferiore a chi abbia la maggioranza relativa evidenzia un premio di rilevanza non ragionevole . Nella tradizione legislativa italiana - non tenendo conto della cosiddetta legge "truffa" del 1953- lo stesso art.84/bis art. 84-bis. della Legge Acerbo[ 18 Novembre 1923, n. 2444 (della "Acerbo") in GU n. 283 del 03-12-1923]prevedeva che l'Ufficio centrale nazionale procedesse alla somma di tutti i voti ottenuti dalle singole liste in tutto il regno e ,verificata quale fosse, la lista che avesse raggiunto il venticinque per cento dei voti validi ed avesse ottenuto il maggior numero di voti in tutto il Collegio nazionale, attribuisse ad essa i due terzi del numero totale dei deputati, cioè 356,proclamando eletti, in ogni circoscrizione, tutti i candidati contenuti nella lista medesima secondo l'ordine dato dai voti di preferenza ottenuti.
La stessa legge del 1923 prevedeva che "nel caso in cui nessuna lista [avesse raggiunto] il venticinque per cento, si applica[va]no a tutte le liste, nel computo nazionale, le disposizioni stabilite nel n. 3 per le liste di minoranza." Il che vuol dire che Giacomo Acerbo rischia di essere considerato più garantista di quanto chi ha prodotto la legislazione attuale e quella di eventuale risulta .
5.3-In terza istanza i due quesiti principali mi sembra possano contrastare con gli stessi criteri utilizzati finora dalla Corte per dichiarare ammissibili i referendum . In effetti se i due quesiti sul premio hanno la stessa finalità , o vengono uniti indissolubilmente (ma ciò non sembra possibile) , o altrimenti possono portare a conseguenze distorcenti se - al limite- uno dovesse essere approvato e l'altro no .

5.4-Tutto questo implica che la Corte non può disinteressarsi degli effetti della normativa di risulta. dei referendum abrogativi .Mi domando , in sostanza se nel giudizio di ammissibilità la Corte non debba valutare anche se con i questiti proposti non vengano vulnerati principi supremi dell'ordinamento costituzionale.
La posizione del Comitato promotore su questo tema ,infatti, non convince . Esso sostiene che se il meccanismo risultante dall'opera manipolativo-ablativa risulta autoapplicativo , la Corte non può che dichiarare ammissibile il quesito , giustificando ampiamente la posizione di Guzzetta che intende trattare direttamente con il Presidente del Consiglio sulla eventuale modifica della normativa vigente.
Il Comitato lascia intendere ,inoltre, che , sulla base dello scopo del quesito , il referendum possa essere trasferito su qualsivoglia testo la rappresentanza parlamentare possa adottare.
Ne viene fuori un vero e proprio "incaprettamento" del sistema da parte del Comitato promotore .A mio avviso ,una simile posizione rischia di essere ideologica e pericolosa , perchè finisce per identificare un potere senza limiti ,dove invece il Comitato e lo stesso Corpo elettorale sono vincolati ai sensi dell'art. 1 Cost. dalle forme e dai limiti della Costituzione stessa sulla base del vaglio operato dall'organo di giurisdizione costituzionale .
In questa prospettiva le competenze della Corte non sono soltanto quelle di verificare l'ammissibilità formale dei quesiti , ma la loro rispondenza sostanziale ai principi ed ai valori costituzionali .A me sembra -dunque- che un meccanismo come quello proposto rischia -dal punto di vista teorico- di vulnerare : in primo luogo il principio di eguaglianza ; in secondo quello di ragionevolezza attribuendo un premio eccessivo a chi ottenga una qualsivoglia maggioranza relativa dei voti.
Tutto questo senza prendere in considerazione che il meccanismo prospettato rischia di aggravare le possibilità di ingovernabilità : a- per l'incremento della differenziazione delle maggioranze tra le due Camere ;b- per la labilità delle eventuali aggregazioni che vengono prospettate come fine della bipartiticizzazione elettorale.
Un opportuno intervento della Corte potrebbe ,dunque, sanare problemi plurimi che affliggono la legge elettorale vigente( Val d'Aosta; premio differenziato tra Camera e Senato).
6-Conclusioni- Riassumo la sostanza della contrapposizione tra i sostenitori dei quesiti e chi parla .

In sintesi:
•lo strumento referendario è - a mio avviso - incapace di innovare razionalmente su argomenti così complessi come il tema elettorale
•le condizioni socio-politiche che giustificano l'utilizzazione di meccanismi così brutali quali quello di un premio nazionale senza quota limite inferiore sono inesistenti ;
•lo stesso strumento proposto è inadeguato al raggiungimento delle finalità proposte e più che essere sistemico si dimostra solo un tentativo di riaggregazione delle aree .La riaggregazione in questione avverrebbe solo a livello elettorale , mentre la frammentazione non potrebbe essere evitata a livello parlamentare poichè la semplificazione , avvenuta a livello di liste sulla base di contrattazioni ,sarebbe estremamente volatile.
•l'eventuale sottoposizione al Corpo elettorale di due quesiti omogenei per le finalità , ma distinti nella votazione potrebbe comportare il teorico pericolo di una contraddizione tra gli stessi con l'approvazione di uno e la reiezione dell'altro ;
• nella frammentazione elettorale esistente il rischio teorico che il premio assuma caratteri irragionevoli è presente ,vulnerando il principio di uguaglianza ;
• la Corte costituzionale nell'ambito del giudizio di ammissibilità può fare riferimento ai principi supremi dell'ordinamento costituzionale che verrebbero violati;
•risulta inconsistente l'affermazione che una simile eventualità esiste nella legge vigente , poichè la Corte ne prenderebbe atto solo nel corso del giudizio di ammissibilità ;
• qualora la dichiarazione di inammissibilità si riferisce al problema del premio , la Corte potrebbe non soltanto esprimere un monito per la modifica della legge , ma anche considerare che il premio possa essere ragionevole dopo una determinata soglia;
•volendo essere consequenziale la Corte potrebbe pervenire alla stessa ablazione del premio , considerando lo stesso incostituzionale .