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La scomparsa dell'art.49 della Cost.
La scomparsa dellart. 49 e la necessit di un suo recupero (Introduzione al Convegno dei giuristi democratici)

La scomparsa dell’art. 49 e la necessità di un suo recupero

Sommario:1- Una premessa sulla necessità di un approccio storico-critico; 2-Coessenzialità dei partiti agli ordinamenti democratici; 3-La marginalizzazione della regolazione del partito politico all’Assemblea costituente; 4-Impossibilità successiva di qualsiasi seria regolazione pubblicistica e necessità attuale di farlo.

1-Una premessa sulla necessità di un approccio storico-critico- Il Convegno odierno è importante e necessario, perché l’art. 49 della Cost. è veramente scomparso per alcuni anni dal dibattito politico-costituzionale, risucchiato dalla crisi di regime del 1992-93. Se si confronta la situazione degli anni ’70, in cui esso era al centro dell’attenzione , e si utilizza come indice empirico i due referendum del 1978 e del 1993 sul finanziamento pubblico dei partiti, si ha la certificazione della crisi di regime del più pesante Stato dei partiti che sia esistito nell’Europa occidentale del II dopoguerra.
Ovviamente il contenuto dell’art. 49 è complesso, così come le funzioni esplicate dai partiti, e non voglio affrontare in maniera sistematica entrambi. Non posso, tuttavia, dichiararmi completamente d’accordo con l’interessante osservazione degli organizzatori sul declassamento del ruolo dei partiti e della loro regolazione dal settore rapporti politici a quello dei rapporti civili, ossia dall’art. 49 all’art. 18 della Cost. e della contemporanea assunzione di potere sregolata da parte degli stessi nel tempo. Una simile affermazione abbisogna, infatti, di precisazioni ed ha il difetto di non storicizzare la questione. Questa breve introduzione cerca,dunque, di contribuire a fornire spessore prospettico alla problematica e soprattutto alle soluzioni suggerite.
2-Coessenzialità dei partiti agli ordinamenti democratici -Parto da un dato di fatto: i partiti sono coessenziali agli ordinamenti democratici di massa . Com’è noto, Maurice Duverger nel 1951 sostenne che la storia del partito politico moderno aveva appena un secolo. Evidentemente egli si riferiva alla concessione del suffragio maschile in Francia ed al problema della inclusione. In quegli anni finisce il periodo del parlamentarismo classico ed inizia la modernità che ancora oggi viviamo. Carl Schmitt la descrisse nel 1923 ne La situazione storico-spirituale del parlamentarismo, ma la crisi del 1851 in Francia ( analizzata in maniera differente ma convergente da Carlo Marx, Victor Hugo e Walther Bagehot) disegna molto bene le sfide della modernità , così come la polemica britannica tra John S. Mill e lo stesso Bagehot dieci anni dopo, in occasione dell’allargamento del suffragio e con la formazione dei primi partiti di massa (Conservatore e Liberale). I casi francese e britannico del secolo XIX evidenziarono in maniera plastica che l’estensione del suffragio abbisognava di strumenti di canalizzazione della volontà popolare e che, in carenza degli stessi, si sarebbero rafforzate oltremisura le caratteristiche plebiscitarie di tipo cesari stico e/o bonapartistico insite nei regimi di massa.
Già nel secondo decennio del secolo XX il tema del partito divenne dominate sia per quanto riguarda il livello di base e elettorale (Ostrogorski e Michels) , sia per quanto riguarda quello parlamentare (Ambrosini), coinvolgendo ovviamente la concezione della rappresentanza individualistica tradizionale. Nell’immediato primo dopoguerra fu forte la consapevolezza che la rappresentanza di tipo fiduciario (ovvero quella che comunemente viene definita come “rappresentanza politica”e che aveva caratterizzato il periodo dello Stato monoclasse liberale oligarchico) non resisteva più ai colpi della modernità ed alle sfide che venivano a lei portate dal suffragio universale. Stretta fra il ritorno della rappresentanza degli interessi di classe o corporativi che le ideologie totalitarie prospettavano in quegli anni, la democrazia di massa non poteva che essere democrazia dei partiti o meglio Stato dei partiti, la cui legittimità veniva ancora contestata (Triepel e Leibholz).
Nel secondo dopoguerra le democrazie europee si ricostruirono, invece, come Stato dei partiti e la polemica sul loro ruolo e la loro regolazione coinvolse molti ordinamenti, sulla base della riflessione della concreta natura delle forze presenti nell’arena. La regolazione del partito politico e la sua accettazione entrò nell’ambito di una spinta alla Legalisierung, già sottolineata dal Triepel nel 1927, che supera la indifferenza e respinge l’incorporamento, ma trovò dei limiti forti nella natura dei singoli sistemi politici (Francia, Italia, Germania occidentale ).

3-3-La marginalizzazione della regolazione del partito politico all’Assemblea costituente - E qui vengo alla necessità di un’analisi storico - critica per quanto riguarda il caso italiano. Non è infatti assolutamente vero che lo scivolamento dall’art. 49 al 18 sia avvenuto nel periodo successivo al 1948 ed in particolare negli anni più recenti. Si tratta, invece, di una fenomeno osservabile già alla Costituente, anzi già deciso alle origini del lavoro della Assemblea Costituente, nonostante i tentativi organicistici di politici e studiosi come Lelio Basso e Costantino Mortati.
Come è stato sostenuto dalla storiografia più avvertita (Scoppola), il nostro ordinamento costituzionale si ricostruì sulla base dei partiti, dopo la scomparsa quasi completa, a causa dell’8 settembre, delle strutture statuali. La società civile, in sostanza, venne conformata come nessun altro paese dai partiti che nel periodo della transizione costituzionale riapparirono o intervennero sulla scena. L’ordinamento si trasformò, dunque, da uno Stato partito in uno Stato dei partiti, ma la natura eterogenea degli stessi impedì che potesse essere attuata qualunque reale intervento di strutturazione della democrazia interna agli stessi, come ad es. avvenne in Germania sulla base della discussione weimariana e dell’intervento esogeno degli alleati.
Una simile situazione è certificata dal dibattito all’Assemblea costituente, in cui furono evidenti,da un lato, le pulsioni verso la sistematizzazione dell’argomento e, dall’altro, le esigenze sistemiche che impedirono ai partners di arrivarvi. Nell’adunanza plenaria della Commissione per la Costituzione del 14 luglio 1946(v. Atti Ass. Cost., vol.VI,p.18) Costantino Mortati affermò che i diritti politici erano stati attribuiti alla seconda sottocommissione “per ragioni organiche nonostante[fossero] diritti di libertà”. Sottolineo il termine organiche (lo ritroviamo anche nella posizione recente di Ferrajoli), perché l’idea di una democrazia regolata, in cui gli strumenti di trasmissione della volontà popolare fossero disciplinati in maniera pubblicistica era tipica della dottrina tedesca, da cui erano fortemente influenzati sia Basso che Mortati.
Nella discussione iniziale della prima sottocommissione partiti e proporzionale vennero significativamente collegati e subirono un destino correlato, che non posso seguire in questa sede. Nel corso delle sedute della prima sottocommissione di metà novembre 1946 si affrontarono i problemi relativi al sistema elettorale (idem,vol.VI.p.685). Carmelo Caristia (DC) legò significativamente,come già aveva fatto a suo tempo Gaspare Ambrosini, la esistenza della proporzionale ai partiti e alla democrazia , mentre Mario Cevolotto (DL) chiese di non costituzionalizzarla . Palmiro Togliatti e il relatore Umberto Merlin(DC) intervennero per rinviare il problema alla seconda sottocommissione.
Il 15 novembre (Ibidem,p.690) si affrontò,invece, il problema del partito politico,discutendo il testo preparato da Merlin e Pietro Mancini(PSI). Esso prevedeva che :
“I partiti hanno diritto di organizzarsi in partiti politici che si formino con metodo democratico e che rispettino la dignità umana,secondo i principi di libertà ed uguaglianza. Le norme per tale organizzazione saranno dettate con legge parlamentare” (p.690). Questo blando tentativo di regolazione e di rinvio ad una specifica normativa legislativa non venne immediatamente esaminato per convergente richiesta di Dossetti, Moro e Togliatti (p.690/1).
Nella seduta del 19 novembre dove venne discussa la proposta Merlin, apparve anche l’articolato progetto di Lelio Basso, che, da un lato, richiamava l’attuale art. 49 e, dall’altro, proponeva di attribuire funzioni di carattere costituzionale ai partiti con una determinata dimensione di consenso .
La proposta Basso si articolava in un art. 3 che recitava: “Tutti i cittadini hanno diritto di organizzarsi liberamente in partito politico,allo scopo di concorrere alla determinazione della politica del Paese”.L’art.4 successivo prescriveva che “Ai partiti politici che nelle votazioni pubbliche abbiano raccolto un numero di cinquecentomila voti, sono riconosciuti, fino a nuove votazioni, attribuzioni di carattere costituzionale a norma di questa Costituzione, delle leggi elettorali e sulla stampa e di altre leggi”.
Come si vede, l’art. in questione dichiarava un diritto di libertà del singolo cittadino collegato con la sfera politica, mentre il 4 stabiliva il riconoscimento di attribuzioni di carattere costituzionale ai partiti, prefigurando uno Stato dei partiti strutturato. Non si parlava di democraticità interna, ma la stessa veniva presupposta sulla base delle pubbliche funzioni loro attribuite.
Nel dibattito successivo si esplicitarono le posizioni, che chiariscono molto sul perché l’art. 49 della Cost., che- si badi bene- evidenzia per la prima volta il ruolo del partito in una Costituzione, sia sostanzialmente carente sul piano della democrazia interna. In maniera esplicita Concetto Marchesi (PCI) sostenne che la proposta Merlin – Mancini poteva essere utilizzata contro il PCI, mentre dichiarò di accettare la formulazione Basso dell’art. 3( così come anche Togliatti) ed aggiunse di essere favorevole a norme contro il fascismo(v. anche La Pira e Dossetti).
Più interessante come venne liquidata la soluzione organica dell’art. 4 da Moro, che- nella seduta successiva- si disse favorevole alla stessa , ma ne chiese il rinvio perché il problema della personalità giuridica del partito politico non era stato ancora affrontato. La sua appariva, quindi, una posizione favorevole ad una norma semplicissima (20 nov. ,p.710).
Mario Cevolotto,in coerenza con la posizione precedentemente assunta sul tema del sistema elettorale, sostenne- invece- che ,”se le elezioni si faranno ancora con il sistema proporzionale, ci si avvierà necessariamente verso il conferimento ai partiti di una personalità e di funzioni costituzionali , che finiranno per sostituire quelle finora attribuite al Parlamento”(Ibidem, p.710). Mentre Ottavio Matrojanni (UQ) si dichiarò contrario a qualsiasi attribuzione di funzioni costituzionali ai partiti, è significativo che, nonostante lo stupore di Cevolotto per alcune affermazioni sulla funzione dei partiti nella stampa, Palmiro Togliatti dichiarasse- da un lato- la positività della disposizione come stimolo, ma dall’altro esprimesse la contrarietà per un irrigidimento dell’organizzazione. Era in effetti quello il periodo di un doppio binario per il Pci, che- per quanto riguardava l’azione esterna- esprimeva una posizione favorevole al pluralismo, mentre all’interno del partito manteneva rigida applicazione del centralismo democratico.
La posizione togliattiana di inserire in Costituzione il riconoscimento della funzione del partito, senza cristallizzazioni trovò una sponda in Giuseppe Dossetti, che riconobbe come la democrazia si orientasse “verso un indirizzo diverso dalla struttura formalistica della democrazia parlamentare” di cinquant’anni prima. Un simile indirizzo sarebbe stato necessario “interpretare e convogliare, perché della possibilità di disciplina e di consolidamento di queste nuove realtà democratiche [sarebbe dipesa] la sussistenza della democrazia” (ibidem , p. 711).

4- Impossibilità di successiva di qualsiasi seria regolazione pubblicistica e necessità attuale di farlo- La vicenda del partito politico già alla Assemblea Costituente venne segnata dalla natura delle forze in campo e la fine della unità antifascista e la contrapposizione muro contro muro del periodo successivo non poteva che condurre all’affermarsi di uno Stato dei partiti sregolato, che non ha potuto o voluto rinnovarsi in maniera endogena. La crisi di regime del 1992-93, che ha concluso in maniera infelice la transizione iniziata con il fallimento della scommessa di centro sinistra nel 1968, ci ha fatto trovare con istituzioni deboli e con partiti in riallineamento e oramai svuotati. Nel periodo 1948-1993,su cui mi sono soffermato in altra sede, alle istituzioni deboli avevano corrisposto partiti tra loro contrapposti , ma forti e capaci di compensare a loro modo la debolezza istituzionale. Nel periodo successivo alle istituzioni deboli si è sovrapposta la scomparsa di tutti i soggetti politicamente rilevanti che avevano nel periodo precedente generato e supportato Costituzione e sviluppo costituzionale nei primi quarantacinque anni della Repubblica. Di qui l’indebolimento obbiettivo dello stesso patto costituzionale e la richiesta di rifondarlo, anche con nuove regole istituzionali che intervengano sulle strutture interne della partecipazione politica.
Oggi siamo sull’orlo di un vulcano. La Costituzione è snervata e soggetta a fenomeni plastici, derivanti dalle pressioni della costituzione materiale e da soggetti che a volte non vi si riconoscono. E’ tempo di dire con forza che il circuito democratico è affetto da carenze pericolose e che il settore della partecipazione politica è al centro delle difficoltà, come dimostra senza dubbio la stessa legge elettorale n.270 del 2005. In maniera sintetica, ritengo che, nelle democrazie di massa contemporanee i meccanismi istituzionali servano, ma siano necessari anche i partiti e che entrambi devono essere adeguati alle esigenze dei contesti di riferimento. Istituzioni senza partiti strutturati e animati da una partecipazione democratica portano al pericolo plebiscitario; partiti pervasivi e frammentati senza istituzioni forti conducono all’instabilità e all’occupazione personalistica e/o correntizia delle strutture statuali.
In questa prospettiva la ristrutturazione del sistema politico-istituzionale italiano dura da troppi anni e non evidenzia scelte sufficientemente coraggiose. Il riallineamento partitico ha prodotto nel 2008 forti cambiamenti, ma esso non si è ancora definitivamente consolidato, anche se sul fronte moderato il consolidamento della strategia del 1994 sembra avere avuto successo. Mancano, però, ancora i partiti, manca la partecipazione politica, manca la coerenza nel disegno istituzionale complessivo. Manca in sostanza l’equilibrio. In questo quadro è necessario tentare la strada di regolare le aree che sono pubblicistiche e che a suo tempo ho denominato come legislazione elettorale di contorno (selezione e presentazione dei candidati in ambito partitico e interpartitico ;propaganda;finanziamento e rimborso; sondaggi,ecc.), al fine di rivitalizzare il processo di partecipazione politica, recuperando il settore dalla categoria della nomina e restituendolo all’area della procedura conflittuale procedimentalizzata rappresentata dalle votazioni pubblicistiche. In questa prospettiva il Convegno odierno rappresenta un segno indubbio di vitalità e di speranza.