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La difficile innovazione istituzionale per l'Italia e per Europa
Relazione introduttiva all'Assemblea della Lega per il collegio uninominale( Roma 20 febbraio 2012)



“La difficile innovazione istituzionale per l’Italia e per l’Europa”
di
Fulco Lanchester


SOMMARIO:0- Introduzione-1-Un titolo polemicamente realistico-2-Le funzioni delle elezioni e i sistemi elettorali-3- Importanza sempre maggiore della legislazione elettorale di contorno ed anomalia italiana-4-Esigenza di innovare razionalmente, ma difficoltà di poterlo fare-5- La Lega per il collegio uninominale nelle comuni ambiguità del dibattito istituzionale-6-Un dibattito ripetitivo in attesa della liquefazione-7- L’integrazione europea e la necessità di un salto di qualità federale


0-Introduzione- Nell’ambito del mio intervento mi occuperò in maniera sintetica di quattro punti:
a - in primo luogo, giustificherò, al di là delle apparenze, il carattere polemicamente realistico del titolo della nostra riunione;
b - in seconda istanza ricorderò brevemente lo stato dell’arte e la necessità di una adottare una prospettiva più ampia, che non si limiti al tema del sistema elettorale in senso stretto , coinvolgendo l’ambito complessivo della legislazione elettorale, che nel nostro ordinamento è in uno stato di vera emergenza ed incide sulla stessa qualità dell’atto elettivo.
C - in terzo luogo accennerò al perché la Lega sia stata in questo periodo sostanzialmente silente e perché sia necessario allargare i suoi obbiettivi per rilanciarla;
d -infine , mi soffermerò sulle prospettive di innovazione istituzionale che abbia come asse portante la indispensabile rilegittimazione delle istituzioni rappresentative a livello nazionale ed europeo ;.

1- Un titolo polemicamente realistico - Debbo subito affermare che il titolo della nostra assemblea è solo apparentemente assertivo quando dichiara, da un lato, la decisa avversione per il regime partitocratico esistentee, dall’altro, richiede subito l’alternativa “americana” per gli Stati Uniti d’Europa.
Non si tratta, infatti, di una provocazione qualunquistica o populista, ma della prospettazione di una meditata e indispensabile via d’uscita alle difficoltà del momento. Per essere molto espliciti si tratta, da un lato, di perorare sul piano interno la costruzione, sempre evitata, di un ordinamento, in cui la funzione indispensabile dei partiti politici sia opportunamente regolata al fine di superare le degenerazioni della cosiddetta partitocrazia, che ha caratterizzato sia la prima fase della storia costituzionale repubblicana( con pesanti organizzazioni partitiche di massa ),sia la seconda(con formazioni sempre più leggere ed oligarchiche) .Dall’altro, si tratta di riconoscere in modo esplicito che l’attuale situazione nazionale ed europea richiede un urgente salto di qualità nella costruzione di un Europa federale, al fine di mantenere ed implementare le caratteristiche democratiche e sociali degli ordinamenti dell’Unione, nell’ambito della riqualificazione dei rapporti geopolitici globali, che ne mettono in gioco ruolo e sostanza.
Sono questi temi non nuovi, ma divenuti drammaticamente attuali. Già nel 1960, nell’ambito di una situazione di gravissima tensione per l’ordinamento democratico, proprio Giuseppe Maranini, il più fiero assertore dell’introduzione nel nostro ordinamento di un sistema elettorale uninominale maggioritario di tipo britannico, aveva ribadito la necessità di una regolazione del partito politico sia attraverso la legislazione elettorale, sia per mezzo della modifica dei meccanismi di collegamento tra Parlamento e Governo. Proprio in quella occasione egli aveva anche messo in evidenza( accanto al modello istituzionale statunitense e di fronte ad un giovane e preoccupato Johannes Agnoli-assistente di Ferdinad A.Hermens) l’importanza del modello istituzionale tedesco, che stava consolidando una democrazia strutturata con regole elettorali e democrazia infrapartitica prese sul serio.
La situazione geopolitica contemporanea rende, d’altro canto, oggi più che mai attuali i suggerimenti di Altiero Spinelli volti all’inveramento di una vera federazione europea, che tenga conto della riallocazione potestativa derivante dai fenomeni di globalizzazione e di integrazione ,al fine di superare il gap democratico esistente, cercando di rilegittimare le istituzioni rappresentative ed il circuito democratico.

2- Le funzioni delle elezioni e dei sistemi elettorali -In questa duplice prospettiva desidero ricordare- in maniera ovviamente succinta- a cosa servano le elezioni negli ordinamenti democratici; che cosa siano i sistemi elettorali; come questi ultimi nascano, quando mutino e perché, nell’ambito più ampio delle procedure di votazione, essi siano essenziali.
a)Le elezioni- In estrema sintesi, le elezioni costituiscono mezzi per l'inserimento di individui a cariche autoritative che si distaccano da altri metodi « pacifici »di preposizione quali quello ereditario, professionale, per sorteggio, per nomina, per acclamazione, per cooptazione. In una democrazia rappresentativa, esse servono , in sostanza, a legittimare il sistema e a determinare (almeno nelle grandi linee) gli orientamenti politici fondamentali dello stesso; contribuiscono ad esprimere la domanda politica, rappresentando le opinioni e gli interessi esistenti; esplicano altresì una funzione di ricambio pacifico e periodico dell'élite. Esse costituiscono, insomma, un importante canale di comunicazione tra governanti e governati e cooperano all'integrazione della pluralità, accendendo un conflitto concorrenziale tra opinioni e interessi rappresentati dalle diverse élites.
Posto che la libertà elettorale è una conquista che deve essere mantenuta ed implementata di continuo. Sin dalla seconda metà dell’800,in connessione con l’estensione progressiva del suffragio, si sono contrapposte le due concezioni riguardo alle funzioni che le elezioni avrebbero dovuto esplicare: quella funzionale(sostenuta da Bagehot) riteneva che le elezioni avessero come principale scopo la selezione di un forte e stabile Governo; quella individualistica(Mill) metteva in primo piano la funzione rappresentativa di individui e di gruppi, che poi all’interno delle Assemblee parlamentari avrebbero individuato indirizzo e formazione di governo. All’interno di queste due concezioni e della concreta condizione dei contesti di applicazione si è sostanzialmente svolto il dibattito istituzionale dicotomizzato tra le esigenze di stabilità, da un lato, e quelle di rappresentanza, dall’altro. Ad avviso di alcuni, scopo precipuo delle elezioni in un sistema di democrazia pluralista, caratterizzato dall'aumentare e dal complicarsi dell'intervento e delle competenze statali nel sociale, dovrebbe essere quello di formare all'interno del paese e dei suoi organi istituzionali una maggioranza capace di governare ed un'opposizione atta ad esercitare un incisivo controllo. All'interno dell’ordinamento in tutti i suoi livelli dovrebbe istituirsi un gioco delle parti, di cui i partners condividano le regole fondamentali e siano capaci e disposti a scambiarsi alternativamente i ruoli. Ove ciò fosse impossibile le elezioni perderebbero il loro senso, diverrebbero mediazione complessa senza reale scelta, designando la realtà delle cosiddette democrazie difficili.
b) Il sistema elettorale- Il meccanismo elettorale in senso stretto fa parte integrante della legislazione elettorale generale, che si occupa di tutta la normativa attinente al processo di selezione della rappresentanza ai vari livelli. In questo comparto non sono compresi soltanto i temi della capacità elettorale attiva o passiva( incandidabilità,ineleggibilità e incompatibilità), ma anche quello della cosiddetta legislazione elettorale di contorno(presentazione delle liste o delle candidature, comunicazione politica, finanziamento e rimborso delle spese elettorali, normativa relativa ai partiti politici, ecc.).
Il sistema elettorale trasforma, in particolare, la volontà dei singoli aventi diritto al voto in seggi autoritativi e costituisce uno strumento tecnico ad alta valenza politica, strettamente legato con la forma di Stato e con il regime; ed è capace di influenzare la stessa dinamica della forma di governo.
In primo luogo, i sistemi elettorali( come la stessa legislazione elettorale di contorno) si connettono alla forma di Stato , perché incidono sul rapporto individuo - autorità ( ovvero su quello tra Stato comunità - Stato apparato) e sono condizionati da parametri specifici ed indefettibili di libertà ed eguaglianza . All'interno di un simile contesto ci si può muovere in maniera opportuna al fine di raggiungere obiettivi specifici di stabilità ed efficienza . In una visione descrittiva i sistemi elettorali possono dunque favorire ,in determinate circostanze, che l'atto elettivo non si limiti ad essere la preposizione di individui a cariche autoritative, ma esplichi la funzione complessa di scelta di un candidato, di un partito, di un programma e di un leader. La possibilità che ciò possa essere effettuato in maniera prescrittiva non è automatica ,ma risulta vincolata dalla realtà effettiva della società politica e della retroazione con gli strumenti tecnici utilizzati.
In secondo luogo, i sistemi elettorali in senso stretto sono fortemente collegati con il regime politico e la loro adozione è collegata alla nascita dello stesso. Essi si connettono, dunque, in modo intenso con gli attori politicamente rilevanti all'interno dell'ordinamento e la loro modifica incisiva individua la crisi dell'assetto portante delle forze che l'hanno fondato. Qualunque sia la loro copertura nell'ambito della gerarchia delle fonti , la loro modifica risulta dunque difficile e polemica . Il mutamento della regola di trasformazione dei voti in seggi può rappresentare in alcuni casi un mero adeguamento delle forme al fatto, oppure significare l'inclusione o l'esclusione di soggetti dalla rappresentanza.
Dall’esperienza comparatistica risulta che l'adozione di uno strumento tecnico volto all'allargamento - inclusione sia meno polemico di uno caratterizzato dal restringimento-esclusione . D'altro canto negli ordinamenti democratici stabilizzati il mutamento della ragione di trasformazione dei voti in seggi in senso selettivo dopo l'estensione del suffragio è stato estremamente raro ed ha corrisposto alla crisi del regime politico, ossia delle norme,dei valori ,delle regole del gioco e delle strutture di autorità in cui agiscono i soggetti politicamente rilevanti. In Francia(1958) ed in Italia (1993) con il passaggio da sistemi proiettivi basati su formula proporzionalistica e sistemi maggioritari o tendenzialmente maggioritari ha comportato una crisi di regime politico ; nell'ultimo ventennio, in Giappone e Nuova Zelanda , il passaggio verso l'allargamento -inclusione è stato invece più souple .
In terzo luogo, i sistemi elettorali influiscono sul comportamento e sulla dinamica dei soggetti coinvolti nel gioco politico e sulle strutture di autorità ai vari livelli.
Da questi pochi accenni risulta evidente come sia, dunque , impossibile un'analisi astratta del tema, che invece richiede un'attenta analisi dei rapporti di forza e degli interessi presenti all'interno dei parametri forniti dalla forma di Stato e di regime.
La grande assunzione degli studi e della prassi in materia elettorale durante gli anni Settanta è stata che la tradizionale divisione tra sistemi basati su formula proporzionale e quelli fondati su formula maggioritaria poteva essere superata sulla base del parametro della selettività derivante dalla differente combinazione degli elementi costitutivi del meccanismo . In più si è evidenziato che gli strumenti retroagiscono in maniera differente con l'ambiente di riferimento, fornendo risultati diversa in contesti diversi .
Sulla base dell'esperienza del ventennio precedente (e soprattutto del dibattito tedesco e francese),negli anni Settanta vennero costruiti in Spagna ed in Portogallo meccanismi elettorali basati su formule proporzionalistiche ma su piccoli collegi ,capaci di apportare effetti selettivi sulla rappresentanza e, nello stesso tempo, di assicurare legittimazione del sistema stesso attraverso l'applicazione della formula.
Negli anni Novanta la tecnica elettorale, collegata ad opportune scelte istituzionali della forma di governo, ha portato ad un'intensa azione in questo campo negli ordinamenti dell'Europa centrale ed orientale, mentre anche alcune democrazie stabilizzate - come prima si osservava- provvedevano a modificare il sistema elettorale .

3- Importanza sempre maggiore della legislazione elettorale di contorno ed anomalia italiana- In generale in tutti gli ordinamenti democratici stabilizzati il tema del sistema elettorale in senso stretto viene considerato oramai meno rilevante rispetto quello relativo alla legislazione elettorale di contorno, che assicura eguaglianza tendenziale delle chances tra i concorrenti . In materia il problema italiano appare peculiare, perché il nostro ordinamento è caratterizzato non soltanto da un sistema elettorale che tutti considerano inadeguato ad un ordinamento di democrazia pluralista, perché utilizza meccanismi che ricordano quelli di ordinamenti dell’Europa orientale, ma soprattutto perché il complessivo comparto della legislazione elettorale risulta caratterizzato da malfunzionamenti e vuoti normativi a volte ai limiti degli standard di democraticità.
L’emergenza italiana sta nel fatto che il nostro sistema elettorale non riesce a soddisfare nessuna delle quattro finalità normative che normalmente vengono richiese ai meccanismi di trasformazione dei voti in seggi. Non costituisce un parlamento capace di riflettere le principali tendenze d'opinione esistenti all'interno dell'elettorato; non riesce a generare un Governo conforme ai voleri della maggioranza dell'elettorato; non seleziona rappresentanti le cui qualità personali li rendano adatti nel modo migliore alla funzione di governo; non genera un forte e stabile Governo.
Il processo degenerativo si è acuito nel tempo Com’è noto meccanismo speculare adottato in Italia dal 1946 al 1993 si basava sulla piena accettazione -soprattutto dopo il fallimento dell'ipotesi del premio di maggioranza del 1953 - della convenzione proporzionalistica. Quest'ultima, da un lato, certificava la natura disomogenea di un ordinamento caratterizzato da forze antisistema di dimensioni rilevanti ,dall'altro identificava nella Costituzione e nel meccanismo di trasformazione speculare l'unica strada per il mantenimento di un dialogo tra i partner aperto verso la piena integrazione degli stessi. Il sistema elettorale del 1948(riattivato dopo il 1953) rispondeva, in ogni caso, meglio al principio di rappresentatività e di maggioranza di quello che gli sarebbe succeduto, stante la non attivazione della riforma del bicameralismo e della democrazia infrapartitica.
Le leggi 276 e 277 dell'agosto 1993 , a prevalenza maggioritaria , si inserirono infatti in maniera contraddittoria nella architettura costituzionale originaria accentuando il rischio della non coerenza tra le maggioranze delle due Camere ,ma soprattutto si immisero in un contesto in cui venne falsificata la premessa fondamentale della riforma istituzionale ed elettorale :l'omogeneizzazione della società e del ceto politico,il quale è rimasto quasi più centrifugo ed alternativo di quello precedente.
Nel 1994 e nel 1996 il nuovo sistema elettorale generò maggioranze bipolari incoerenti nelle due Camere ,ma soprattutto , anche nel 2001 ,frammentate e centrifughe al loro interno .Nel 2005 ,infine , il centrodestra ha certificato il fallimento del maggioritario all'italiana,con una riforma che ha introdotto il premio di maggioranza per ciascuna delle Camere ,accompagnata dal sostanziale abbandono dell'elezione democratica e dalla sua sostituzione dalla designazione. Il sistema in questione, funzionale ad un ordinamento con partiti personali o a cartello quadro ,in sostanza evidenzia due difetti: uno democratico, l'altro istituzionale. Sotto il primo profilo l'elettore non sceglie più il rappresentante, che viene invece imposto dalle segreterie nazionali o regionali di partito ;sotto quello istituzionale il meccanismo porta all'impasse, perché favorisce la tendenziale produzione di maggioranze differenti nelle due camere .

4- Esigenza di innovare razionalmente, ma difficoltà di poterlo fare- Su questa base appare evidente l'esigenza cambiare ed anche chiaro che farlo risulta difficile per l'eterogeneità degli interessi dei partner e la loro numerosità.
I termini della questione sono dunque questi .Scomparsa la spada di Damocle del referendum, gli interessi dei partner paiono continuare ad impedire qualsiasi innovazione razionale, che coinvolga il ceto politico nazionale . Nel 1993 la minaccia del referendum fece agire in maniera positiva il Parlamento solo nei confronti dei livelli inferiori a quello parlamentare. La l. n. 81 /1993, che ancora oggi viene evocata da alcuni come un esempio virtuoso, venne approvata per evitare il voto popolare , mentre per il Senato scattò la tagliola referendaria.
L'unico dato sicuro,per adesso, è che ci si muove molto per inventare nuovi schemi e sistemi , ma non si vede ancora chiaro né nelle prospettive tecniche proposte, né nelle alleanze alla base.
Fino alla svolta emergenziale del Governo Monti, i risultati di diciotto anni circa di convulsioni sono stati quelli di un bipolarismo imperfetto polarizzato, che si è scontrato con il vincolo costituzionale del bicameralismo e con la natura eterogenea dei poli e dei partiti presenti all'interno degli stessi schieramenti. In questi anni varie proposte referendarie hanno cercato di modificare la situazione, ma lo strumento referendario in questo settore è sempre stato da un lato strumento di conflitti infrapartitici e inadatto per una modifica razionale del settore.
Quale la soluzione all'enigma istituzionale italiano ? Prima di tutto non credere che l'intervento istituzionale possa essere unico e risolva tutto ; in secondo luogo utilizzarlo in maniera che lo stesso sia compatibile con gli obiettivi di ristrutturazione e non contrasti con i vincoli della forma di Stato e con la Costituzione.
Due sono ,quindi, gli obiettivi che paiono prioritari. Il primo concerne la forma di Stato, il secondo la forma di governo. L'urgenza democratica a favore di un cambiamento dell'attuale sistema elettorale è rappresentata dalla già ricordata sostituzione che è stata operata nel 2005 del principio dell'elezione con quello della designazione da parte dei segretari nazionali delle varie forze politiche alla Camera e regionali al Senato. Aggiungo che vi sono aree come quelle delle circoscrizioni estere dove gli standard di democraticità nella stessa espressione del suffragio sono vulnerati in maniera drammatica. Le procedure generali per l'effettuazione dell'atto elettivo si sono deteriorate in maniera preoccupante ,tanto da andare al di sotto della stessa definizione di democrazia a basso rendimento,che dodici anni fa attribuii a questo ordinamento .
Nel 2007 sostenni che le suddette questioni non potevano essere risolte senza un contributo fattivo dei due poli( ed in particolare delle forze politiche centrali) e che si contrapponevano, allo stato dei fatti , due posizioni : quella per il rafforzamento meccanico del bipolarismo e quella per un suo addolcimento sostanziale, attraverso la centripetazione delle ali centrali dello stesso . In una situazione siffatta gli strumenti istituzionali non potevano che divergere , così come le posizioni delle élites. Chi richiedeva il premio di maggioranza tentava di blindare i poli sul piano elettorale ,ma poi non assicurava che gli stessi fossero coesi ed efficienti sul piano parlamentare. Chi richiedeva l’addolcimento del meccanismo sembrava, invece, un nostalgico delle dinamiche della prima fase della Repubblica.
5- La Lega per il collegio uninominale nelle comuni ambiguità del dibattito istituzionale- In una siffatta situazione non meraviglia perché la Lega per il collegio uninominale celebri la sua seconda assemblea dopo circa quindici mesi di sostanziale inattività. Le ragioni di una simile dinamica, che potrebbero scatenare le più accese polemiche nei confronti del gruppo dirigente, sono giustificate dalla stessa genesi dell'associazione e dagli avvenimenti di contesto.
Il documento fondativo della Lega era, infatti, ed è un capolavoro di ambiguità derivante dalla situazione della normativa elettorale generale e dal dibattito sulle innovazioni istituzionali. Il gruppo che allora si raccolse sotto l'insegna della Lega interpretava ( e sembra interpretare) il riferimento al collegio uninominale in modo molto differenziato, coprendo tutto l'arco cromatico che va dal fideismo più assoluto nel meccanismo elettorale basato sul collegio uninominale maggioritario alla mera individuazione dei candidati attraverso lo stesso( accettando quindi vari livelli di selettività sulla base di una indicazione eteronoma bloccata) fino ad arrivare al più puro tatticismo movimentista.
D’altro canto, non c’è da meravigliarsi. Lo stesso documento firmato da molti costituzionalisti nel 2010 evidenziava una simile ambiguità. In quell’appello si richiedeva il superamento dell'anomalia del premio di maggioranza; il ripristino di un rapporto tra eletti e territorio; l’ equilibrio tra rappresentanza e governabilità; la riduzione della frammentazione e si suggeriva l’alternativa tra una correzione del sistema proporzionale( con l'introduzione di collegi uninominali maggioritari e di una soglia di sbarramento sul modello tedesco) e un sistema uninominale maggioritario a doppio turno sul modello francese.
In sostanza le debolezze della Lega sono state a mio avviso due e convergenti:
in primo luogo le citate ambiguità negli obbiettivi e negli strumenti tecnici supportati dai soggetti promotori;
in secondo luogo la sottovalutazione della complessità della materia elettorale con la mancata inserzione tra le finalità dell’Associazione degli obiettivi della veridicità e della trasparenza delle procedure di scelta (dal piano infra partitico a quello interpartitico;dal piano nazionale a quello europeo).
6- Un dibattito ripetitivo in attesa della liquefazione- . L’urgenza di un simile salto di qualità è dato dal dibattito delle ultime settimane . Si ha la sensazione di trovarsi in situazioni apparentemente già vissute. Déjà vu , confusione e riferimento a vecchi modelli derivano dallo stallo dell'intera questione istituzionale in Italia , dopo anni di discussioni ,con alle spalle avvenimenti di estrema rilevanza e soluzioni insufficienti , mentre si prospetta il ripetersi della strategia referendaria .Ma c’è qualcosa di nuovo che certifica la straordinarietà del momento . Oggi con la crisi economica che si connette a quella politica e sociale il pericolo della crisi societaria è evidente . Il governo Monti sembra il commissariamento della politica partitica , ma non del politico. Siamo in realtà di fronte alla prospettiva di una terza fase della costituzione repubblicana che può addirittura mettere in pericolo le stesse istituzioni democratiche o perlomeno commissariarle. In una situazione di questo genere mi sembra che vi sia la necessità di richiedere ciò che non è stato possibile ottenere dal ceto politico della prima fase della Repubblica ovvero un suicidio autoconservativo.
Gli interventi proposti danno,invece, la sensazione di essere interlocutori e ,in ogni caso, insufficienti. C’è l’apparente aspirazione ad una convergenza, ma non sono convinto che - anche se vi sarà questa confluenza - i risultati saranno positivi:
• in primo luogo, perché l'intervento elettorale risulta troppo limitato(si parla del solo sistema elettorale in senso stretto);
• In secondo luogo, perché il progetto istituzionale rischia di essere tardivo;
• In terza istanza, perché in entrambi i casi si tende ad obbiettivi che rischiano di essere inattuali nel momento in cui gli strumenti dovessero essere utilizzati.
Insomma, dopo l'ennesimo tentativo di iniziativa referendaria (la battaglia tra Passigli e Morrone-Parisi dell'estate scorsa si è svolta essenzialmente all'interno del PD) si sta ripetendo il balletto del 2007, dove la discussione sul sistema elettorale tedesco (Casini) e lo spagnolo( due partiti maggiori) non era sortito a nulla per l'interesse convergente delle maggiori formazioni a mantenere il porcellum.
Ora, di fronte alla delegittimazione esponenziale dei partiti ed al deliberato infanticidio del referendum Passigli per reintrodurre un meccanismo speculare, sembrava concretarsi uno scambio. Ne parlo oggi all’imperfetto e in maniera meno sicura di quanto non potessi fare dieci giorni fa, perché l’incontro tra i leader di maggioranza ha molto raffreddato gli entusiasmi in materia. In ogni caso scambio, se vi sarà, si dovrebbe sostanziare in una rinunzia reciproca( via il premio di maggioranza e il doppio turno)e assenso per un sistema elettorale che favorisca un pluralismo moderato, rafforzando soprattutto le due prime formazioni presenti nelle singole circoscrizioni.
I soggetti più favoriti dovrebbero essere i primi due partiti, ma vi dovrebbe essere una possibilità di rappresentanza anche per Lega, Terzo polo, SEL, IDV (gli ultimi due meno), che riuscirebbero negli intenti dei promotori a mantenere la loro identità. In realtà, se ci si rifà agli obiettivi dei proponenti il meccanismo ispano-tedesco, Sel, Idv e Lega verrebbero esclusi dall'area di Governo e la governabilità dovrebbe essere assicurata da Pdl,Pd e Terzo polo. La proposta Vassallo- Ceccanti, già prospettata nel 2007, è basata su voto unico per circoscrizione provinciale e collegio uninominale, su distribuzione dei seggi (per i partiti che abbiano raggiunto a livello nazionale il 3% dei voti) a livello circoscrizionale (provinciale) su formula non maggioritaria per la selezione, con individuazione degli eletti su collegio uninominale e lista bloccata.
Dal punto di vista della selettività il meccanismo si fonda sulla soglia esplicita del 3% a livello nazionale per essere rappresentati e sulla soglia implicita a livello circoscrizionale valutabile al 10%.In questo quadro risulta, però, peculiare l'uso formale del collegio uninominale con la possibilità per chi abbia vinto la contesa a livello di collegio, ma sia collegato con una formazione di partito che non abbia raggiunto la soglia nazionale, di essere escluso. Il ragionamento su cui si basa l’esclusione è il privilegiamento del partito rispetto al candidato nel collegio uninominale. Il che contraddice in maniera clamorosa la premessa che l’elettore dovrebbe poter scegliere il proprio rappresentante.
Per quanto riguarda il meccanismo del Senato esso è simile a quello della Camera , ma differisce solo per la soglia che è regionale al 4%. Le dimensioni delle circoscrizioni sono simili e quindi la soglia implicita è la stessa. Il meccanismo prevede anche la possibilità di primarie, per la selezione dei candidati, ma le annotazioni sulla scheda per chi non le utilizza non sono convincenti.
Ciò che rende surreale l’attuale discussione in materia è che i protagonisti hanno la consapevolezza di essere di fronte ad una nuova liquefazione del sistema italiano dei partiti, che dal 1993 era in via di riallineamento. Se sono vere le premesse evidenziate in precedenza che la legislazione elettorale è connessa strettamente con in regime, e quindi con i soggetti politicamente rilevanti, è ben difficile che i maggiori protagonisti del sistema possano decidere velocemente di ristrutturare regole che in realtà sono loro favorevoli, senza aver valutato le previsioni per il futuro.
L’incontro recente tra Alfano, Bersani e Casini individua che lo scambio sul sistema elettorale è lungi dall’essersi consolidato. Gli è stata anteposta la revisione costituzionale del numero dei parlamentari e del bicameralismo che sposta chiaramente il limite oltre la presente legislatura. Si tratta di un rinvio tattico per vedere di superare le elezioni amministrative e valutarne gli effetti in una situazione di mobilità , di cui l’on. Casini ha già preso ufficialmente atto con la disponibilità a ricollocarsi in un altro contenitore. La dinamica sistemica individua la alta probabilità che, alla fine, si vada a votare con le regole del porcellum, che- nella prospettiva di qualcuno- potrebbe – alla fine- favorire proprio l’aggregazione di centro . Nello stesso tempo la dead line per la innovazione elettorale potrebbe porsi sulla prospettiva di sistemi selettivi senza premio di maggioranza siano ispano-tedeschi o ungheresi. In questo quadro più il tempo passa, più la prospettiva concreta di adozione di un meccanismo che utilizzi, anche per la sola individuazione dei candidati, il collegio uninominale diviene sempre più flebile.
Il risultato di tutto questo lavorio sarebbe il ritorno ad un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi sostanzialmente speculare, con soglie di esclusione non rilevanti, ma con individuazione degli eletti su liste bloccate. Non affronto il tema dell’inserimento della preferenza, ma è evidente che in questo bricolage istituzionale non verrebbe in alcun modo affrontato il problema della democrazia infrapartitica e del finanziamento della politica, che non può essere risolto facendo saltare gli stracci.

7- L’integrazione europea e la necessità di un salto di qualità federale-Concludo .Pensare di risolvere la crisi italiana attraverso la mera riforma istituzionale nazionale e soprattutto il patto tra formazioni di partito che sembrano decotte e in via di ristrutturazione intensa rischia di essere illusorio, ma soprattutto pericoloso .
Jacques Delors ha messo più volte in evidenza come, proprio nei momenti difficili, il processo europeo abbia saputo fare un balzo in avanti. Tuttavia, c’è anche chi paventa l’insufficienza delle leadership e la possibilità di un ripetersi di venti gelidi simili a quelli degli anni Trenta del secolo scorso. La storia , ovviamente , non si ripete, ma è certo che manca, nell’attuale momento, la completa consapevolezza di essere di fronte ad una riqualificazione epocale di quei rapporti geopolitici che negli ultimi due secoli e mezzo hanno permesso lo sviluppo economico- politico e la centralità europea e degli ordinamenti anglo-americani .
Le analisi divergenti che Francis Fukuyama ha pubblicato nell’ultimo quarto di secolo dicono della variabilità delle riflessioni e delle previsioni in materia. Nel corso del tempo si, infatti, è passati dalla end of history al future of history, ovvero da una fiducia acritica nel modello democratico alla prospettazione della sua crisi epocale sulla base della riduzione della base sociale che lo caratterizza, ovvero la classe media. Una simile variabilità mette in evidenza che non soltanto le situazioni cambiano, ma vi è anche una insufficienza nel metodo con cui si analizzano i fenomeni sociali. In questa prospettiva è bene avere davanti a se i fatti della storia e schemi concettuali capaci di interpretarli in maniera corretta.
I dati storico-economici danno conto delle necessità che si formi un’area integrata a livello europeo che superi la condizione ibrida ed impotente delle istituzioni attualmente vigenti. Maddison sin dalla fine del secolo scorso ci aveva avvertito della dinamicità di nuovi soggetti economici e politici. Anzi aveva messo in evidenza come alcuni di questi(Cina ed India) non fossero nuovi, ma antichi messi in crisi dallo sviluppo europeo e occidentale, sulla base delle conseguenze della rivoluzione industriale. Le trasformazioni geopolitiche a livello planetario, che hanno avuto una prima prospettazione agli inizi degli anni Settanta e poi si sono consolidate dopo il crollo del socialismo reale, sono esplise clamorosamente agli inizi del primo millennio e rischiano di mettere in discussione non soltanto l’asse Atlantico( oramai sostituito con quello del Pacifico), ma anche la validità della soluzione democratica come conosciuta finora. E’ infatti a rischio non soltanto il modello sociale europeo( che in realtà è molto lato e di differente specificazione), ma soprattutto la stessa sostenibilità della forma di Stato e di regime di democrazia pluralistica.Lo sviluppo esplosivo di ordinamenti oramai riemersi e di quelli emergenti rischia di mettere in evidenza soluzioni tecnocratiche o autocratiche a scapito di quelle nate nel continente europeo.
In questo specifico quadro si spiega l’indispensabile attenzione per un salto di qualità nel processo di formazione di un’Europa federale, nella consapevolezza che democrazia e sviluppo oramai non possano essere più assicurate a livello statale, ma sul piano continentale. Ne consegue che ciascun componente dell’Unione deve fare la sua parte. In particolare l’ordinamento politico-costituzionale italiano deve, se non risolvere, perlomeno ridurre le proprie anomalie e a questo servono le istituzioni e servono le persone. Ma è anche evidente che i problemi non sono soltanto nazionali . E ` per questo che il circuito della rappresentanza democratica e quello delle garanzie devono essere riattivati, garantendosi a vicenda. In particolare, se non funziona il complesso dei meccanismi attraverso cui la domanda politica viene espressa, articolata e ridotta attraverso le procedure di decisione collettiva di tipo deliberativo ed elettivo e se il personale che agisce all’interno delle istituzioni non riesce più a rappresentare il demos politico, il pericolo di non poter affrontare in maniera efficace le sfide sistemiche aumenta sino al rischio della crisi societaria.
Si ritorna, quindi, alle osservazioni di Johan Caspar Bluntschli, teorico dello Stato svizzero e docente di scienze politiche in Germania, che nel 1868(l’anno successivo alla costituzione del Norddeutscher Bund) espresse sulla crisi che aveva trasformato il sistema confederale americano in un ordinamento federale. La crisi contemporanea del debito sovrano ricorda,infatti, troppo le difficoltà della Confederazione americana negli anni Ottanta del secolo XVIII e la necessità di un salto di qualità nell’organizzazione istituzionale dell’ordinamento. In un sistema globalizzato riappare, anche, il tema della fiducia degli investitori, che lo stesso Necker, ministro delle finanze di Luigi XVI, aveva messo al primo posto tra le cause del crollo dell’antico regime, e la necessità di modernizzare profondamente le strutture sociali sulla base dei principi di equità , di democraticità ed di efficienza . La politica di rigore nel raggiungimento del pareggio di bilancio ricorda anche i danni che le politiche deflazionistiche possono apportare a sistemi in difficoltà( in primis rammenta l’azione della Reichsbank nei primi anni Trenta del secolo scorso in Germania). Il commissariamento di interi ordinamenti(ad es. la Grecia) stride con i presupposti delle democrazie pluraliste e rischia di delegittimare il consenso popolare, se ai sacrifici non corrisponde la consapevole condivisione.
Il rischio della crisi societaria di singoli sistemi può scatenare effetti domino incontrollabili, che devono essere evitati. La storia fornisce molti esempi e suggerisce diverse soluzioni alle difficoltà sistemiche , ma sono i soggetti politicamente rilevanti che devono comprenderne il significato, adeguando i loro comportamenti alle necessità del presente.