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16/11/2006

«Testo dell'audizione del prof. Fulco Lanchester»

Testo dell'audizione audizione del prof. Lanchester alla Giunta delle elezioni del Senato e documento allegato


A]Audizione del 15 Novembre 2006

Osservazioni aggiuntive al parere espresso

dal prof. Fulco Lanchester

Sommario: 1-Premessa-2- La questione ermeneutica -3- La scelta del legislatore e l´inesistenza di un potere emendativo dell´amministrazione - 4- La palese violazione di garanzie costituzionali - 5-Conclusioni-

1-Premessa-Mi si permetta , prima di tutto , di ringraziare il Comitato inquirente che ha avuto la gentilezza di consultarmi nel corso di questa serie di audizioni .

Ribadisco in questa sede quanto affermato a suo tempo, ossia che tra gli artt. 16 e 17 del Decreto legislativo 20 dicembre 1993 n.533 T.U. per le leggi recanti norme per l´elezione del Senato della Repubblica esiste una difformità nel meccanismo di ripartizione dei seggi nel caso la coalizione di liste o la lista vincente abbia o meno ottenuto il 55% dei seggi . Nel primo caso la ripartizione avviene tra le liste che abbiano ottenuto il 3% dei voti validi espressi ; nel secondo questa previsione viene meno, eliminando ogni soglia di sbarramento.

Nel parere, da me rilasciato prima che gli Uffici elettorali regionali esprimessero le proprie determinazioni, concludevo che la ragione che aveva portato a questa difformità non rilevava in sede di applicazione, la quale doveva derivare da un ´ interpretazione strettamente letterale delle disposizioni, capace di fornire risultati esaustivi e coerenti .

In questa sede dopo aver letto il resoconto dei lavori della Giunta e le ulteriori memorie presentate vorrei aggiungere alcune osservazioni .

2-La questione ermeneutica - Il problema nascerebbe da una svista del legislatore, che si sarebbe dimenticato un passaggio nelle fasi concitate dell´approvazione della legge 270 /2005 . Ciò viene in sostanza suggerito dai pareri favorevoli alla parte resistente (Turigliatto) , che richiamano più volte il drafting legislativo non commendevole degli ultimi mesi dell´anno scorso. A pagina 5 del parere del prof. Luciani si parla, infatti, di un "drafting legislativo che ....lascia alquanto a desiderare ", mentre in quello del prof. Ceccanti lo si definisce in vario modo : "imperfetto", "non felice","effettivamente scadente","incerto". Entrambi pareri "pattinano" ,però, tra l´affermazione che l´interpretazione letterale sarebbe favorevole alla tesi da loro sostenuta e lo sforzo - rilevato anche dal Sen. Manzione- di adottare criteri ermeneutici alternativi (da quello sistematico e logico-teleologico di Luciani a quello sistematico - finalistico di Ceccanti).

A me pare evidente che questi scivolamenti verso altri tipi di interpretazione al di fuori di quello letterale si fondino sull´impossibilità di negare la succitata divergenza tra gli artt. 16 e 17 del T.U. e sulla necessità di ricorrere ad una inammissibile interpretazione di tipo creativo. Una simile impostazione cozza, infatti, contro i più elementari canoni ermeneutici (ripresi in modo limpido dal Prof. Vassalli) e, sopratutto, contrasta in modo palese sia con le garanzie costituzionali poste a difesa delle competenze legislative in un ordinamento democratico - pluralista , sia con la natura delicatissima del settore elettorale.

3-La scelta del legislatore e l´inesistenza di un potere emendativo dell´amministrazione - Mi addentro in un´area in cui mi ero rifiutato di entrare a suo tempo .

Sempre all´interno della necessità di applicare l´interpretazione letterale , intendo sottolineare perlomeno due elementi .

In primo luogo ritengo che la cosiddetta svista rappresentata dalla formulazione dell´art. 17 costituisca una vera e propria scelta del legislatore, derivante da un´analisi consapevole dei costi/benefici tra non approvazione del provvedimento e proposizione di emendamenti correttivi. Il drafting definito non efficiente ha prodotto nel corso del procedimento legislativo una serie di disposizioni che disegnano un meccanismo perfettamente funzionante dal punto di vista pratico . Il legislatore venne ,nel corso dei lavori , avvertito dagli uffici e dai protagonisti del procedimento che la difformità rilevata tra artt. 16 e 17 poteva essere sanata con un ulteriore passaggio parlamentare , ma per ragioni di tempo la maggioranza parlamentare , che stava innovando le regole elettorali al limite della legislatura, decise di non farlo .

Il legislatore scelse , dunque, in maniera consapevole un particolare tipo di meccanismo di trasformazione in seggi capace di funzionare e respinse l´alternativa di operare opportuni emendamenti , che gli avrebbero fatto rischiare la reiezione dell´intero disegno di legge.

Con l´approvazione del testo da parte delle Camere e la promulgazione della legge 270/2005 il testo della stessa ha assunto una propria autonomia e compito di coloro che la devono utilizzare non è quello di farla funzionare secondo lo schema teorico dell´originario proponente o sulla base della "cornice sistematica e finalistica della legislazione elettorale della transizione" , ma sulla base delle disposizioni risultanti nel documento finale .

In secondo luogo, la questione sottoposta al vostro vaglio suscita forte preoccupazione ed allarme per la vulnerazione del dettato costituzionale sia in materia di competenze , sia per quanto riguarda la fruizione dei diritti di partecipazione politica .

Nel corso della fase preparatoria delle elezioni politiche generali di quest´anno il Ministero dell´Interno ha suggerito, infatti, di interpretare le disposizioni dell´art. 17 come se il legislatore ordinario avesse operato le correzioni di cui sopra attraverso un´opportuna procedura emendativa, con un effetto a cascata che ha condotto all´apertura del contenzioso di cui siamo testimoni. Ne è derivata una vera e propria invasione di campo "amministrativa" nelle prerogative parlamentari, che segnala una pericolosa tendenza alla violazione di competenze costituzionalmente stabilite.

4-La palese violazione di garanzie costituzionali - Il caso a voi sottoposto non costituisce quindi - a mio avviso- un mero episodio di cattiva redazione di un documento giuridico avente afficacia normativa , con annessa disputa interpretativa . Ci si trova ,invece, più o meno consapevolmente di fronte alla violazione di principi fondamentali dell´ordinamento democratico in una materia delicatissima come quella relativa al sistema elettorale in senso stretto, destinata a distribuire le carte fra i contendenti nell´arena sulla base di precisi standard di affidabilità.

I motivi di violazione sono perlomeno due: in primo luogo , organi estranei al potere legislativo si sono implicitamente arrogati la funzione emendativa o di correzione di supposti errori procedimentali, esistendo in argomento una competenza parlamentare, particolarmente rafforzata dalla previsione di riserva d´assemblea per la materia elettorale (art. 72,comma 4); in secondo luogo , attraverso questo intervento si è finito per incidere sulla parte dei diritti fondamentali relativi alla partecipazione politica ed in particolare all´eleggibilità (art. 51 Cost.).

5-Conclusioni- Vorrei terminare in maniera sintetica. Innanzitutto, ribadisco che nel caso sottoposto alla Vostra attenzione non valgono ,dunque, le interpretazioni sistematiche o finalistiche della "transizione", che rischiano di richiamare canoni ermeneutici da anni Trenta. Le soluzioni alternative all´interpretazione letterale si prospettano come una correzione degli errori del legislatore per via amministrativa e rischiano di essere semplicemente devastanti per uno Stato di diritto democratico . Esse attribuiscono la possibilità di "rimediare" agli eventuali errori del legislatore , o peggio a sopraggiunti interessi del potere esecutivo, suggerendo l´interpretazione migliore ai soggetti preposti alle varie fasi del procedimento elettorale .

L´episodio , già verificatosi in situazione e forme invero molto differenti per la legge elettorale della Camera del 1993, costituisce una conferma dei segnali preoccupanti , che coinvolgono - da parecchi anni - l´intero procedimento elettorale nel nostro ordinamento . Sulle ragioni di una simile situazione ,che in questo caso a ragione si connette alla "transizione infinita " del sistema politico costituzionale italiano , non voglio però annoiarvi in questa sede ,preferendo allegare un contributo su I diritti di partecipazione politica nell´innovazione istituzionale incrementale italiana.

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B]I diritti di partecipazione politica nell’innovazione istituzionale incrementale italiana

di

Fulco Lanchester

Sommario: 1-Premessa; 2- L’innovazione costituzionale rifiutata; 3- L’innovazione in materia elettorale e la recessione del principio elettivo; 4- Altre significative stranezze(A-Prima delle elezioni ;B-Dopo le elezioni); 5- Un commento.

1-Premessa -La crisi di regime del 1992-93 ha comportato forti innovazioni, ma non ancora una stabilizzazione del modello istituzionale . In effetti, il mancato chiudersi del riallineamento partitico vede oggi l’indebolirsi oltre ogni modo dell’impianto costituzionale originario del 1948 sulla base di una innovazione istituzionale incrementale sempre più massiccia ed incisiva. Il nuovo sistema elettorale in senso stretto per le due Camere, approvato in zona ‘‘Cesarini’’ nel dicembre 2005 (v. legge 21 dicembre 2005, n. 270: ‘‘Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Se- nato della Repubblica’’, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, n. 303 del 30 dicembre 2005 - Supplemento ordinario n. 213) ha riaperto i giochi e rinviato sine die la auspicata conclusione della transizione.

Nel primo semestre del 2006 si sono tenute: elezioni generali con il nuovo meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, elezioni amministrative importanti ed il referendum confermativo della novella della seconda parte della Costituzione approvata dalle Camere nel secondo semestre del 2005. Questi tre appuntamenti hanno certificato la persistenza della ‘‘transizione infinita’’.

2- L’innovazione costituzionale rifiutata-Alla fine del giugno 2006 il Corpo elettorale ha respinto il quesito che avrebbe dovuto trasformare in maniera incisiva il testo costituzionale e la stessa concezione della rappresentanza. Durante la XIII legislatura (1996-2001) l’azione innovatrice divenne progressivamente sempre più intensa. La Commissione bicamerale, la cui istituzione costituì una vera e propria ‘‘rottura’’ costituzionale, venne prima affiancata da un’opera rilevante di innovazione a Costituzione invariata (leggi Bassanini) e, poi, con il suo fallimento da una serie di modifiche costituzionali.

Una prima serie di modifiche ha investito temi importanti ma dispersi (l’art. 111 sul giusto processo; gli artt. 48, 56, 57 sul voto degli italiani residenti all’estero e l’istituzione della circoscrizione relativa). Poi, nel 2001 a fine legislatura e stata introdotta la riforma del Titolo V della Costituzione, cui si collegava la precedente modifica del 1999 relativa alla forma di governo regionale. Con queste due tappe vennero modificati o abrogati in maniera incisiva tutti gli articoli contenuti nel Titolo V (artt. 114-133) se si esclude l’art. 133.

Ciò che e accaduto durante la XIV legislatura (2001-2006) e, tuttavia, di sicuro molto più rilevante, perchè e stata investita tutta la parte II della Costituzione. In sostanza, le modifiche, quasi tutte incisive, hanno coinvolto ben 40 artt. della Costituzione. Il che vuol dire (in maniera impressiva) che poichè i principi fondamentali e la prima parte del testo costituzionale (artt. da 1 a 54) erano rimasti teoricamente invariati, gli interventi investivano 40 degli 85 artt. residui, ovvero circa la metà della restante parte della Costituzione.

Si trattava anche dal punto di vista comparatistico di un inter- vento inusitato per la valenza quantitativa oltre che qualitativa de- gli interventi. Le 51 leggi di revisione e/o di integrazione della Legge fondamentale tedesca dal 1951 al 2002 hanno in realtà modificato assai poco l’impianto istituzionale profilato dai Costituenti; la stessa Totalrevision della Costituzione svizzera (approvata nel 1999) appare alla fin fine un consolidamento aggiornato delle innovazioni operate nel corso di circa un secolo e mezzo di storia; mentre le numerose revisioni belghe dal 1967 al 1993 hanno segnato in modo incrementale il passaggio dall’organizzazione unitaria a quella federale.

A simili constatazioni formali sulla quantità e la qualità del- l’intervento si affiancavano problemi e dubbi più sostanziali sul contenuto dello stesso per quanto riguarda la sua compatibilità con l’assetto democratico-pluralistico e la sua efficacia.

Il disegno di legge costituzionale stravolgeva, infatti, l’origina- rio impianto disegnato dal Costituente sotto i tre profili essenziali della forma di Stato, della forma di governo e del tipo di Stato. Per quanto riguarda la forma di Stato, il progetto vulnerava esplicitamente il circuito democratico, che lega la seconda parte della Costituzione alle precedenti. Esso al di la degli accostamenti operati negli ultimi tempi — tendeva infatti a respingere la concezione della democrazia di massa, organizzata dai partiti e basata sulla rappresentanza politica, per sostituirla con un semplificativo rapporto, esplicito e diretto, tra Corpo elettorale e Primo ministro.

L’originario circuito democratico di cui agli artt. 1, 48, 49, 55,

56, 67 e 94 della Cost. veniva respinto con una decisione anche sul piano formale che, da un lato, appariva vicina alla brutalità, dall’altro sembrava vulnerare proprio quei principi supremi, che la Corte costituzionale in numerose sentenze ha riconosciuto parte indefettibile ed immodificabile della forma di Stato e di regime stabilita dal Costituente.

In particolare veniva reso anche formalmente vacuo l’art.

67 della Cost. ed il divieto di mandato imperativo. Al di la della innovazione di una doppia rappresentanza (della Nazione e della Repubblica), vanificata per il Senato da quanto previsto dal progettato art. 58 in materia di residenza o di cariche elettive ricoperte nella regione per l’eleggibilità, il ‘‘rappresentante’’ veniva vincolato dal nuovo art. 94 alla sua appartenenza elettorale, con un mandato che contraddiceva la lettera dell’art. 67.

Una simile proposta non soltanto rivela la presenza di una cultura istituzionale diversa da quella del costituzionalismo delle liberal-democrazie, ma evidenzia come la stessa possieda una forza notevole capace di prospettare scelte astratte e pericolose sulla base della formale applicazione del principio della sovranità popolare. L’impostazione ora richiamata cerca in realtà la stabilità attraverso l’inchiavardamento istituzionale, non considerando l’estraneità della formalizzazione di un simile mix di giacobinismo e plebiscitarismo con la cultura costituzionale delle democrazie pluraliste.

Il progetto era d’altro canto vago, nebuloso e contraddittorio. La modifica degli artt. 56 e 57 della Cost. con la conseguente diminuzione dei rappresentanti eletti nelle due Camere non soltanto prefigurava una maggiore selettività dei meccanismi elettorali, ma soprattutto evidenziava che parti della proposta erano ancora allo stato ipotetico.

Era inoltre evidente che l’adattamento al sistema maggiorita- rio del sistema delle garanzie era (ed e) palesemente insufficiente per quanto riguarda lo statuto dell’opposizione. Il nuovo art. 64 della Cost. era sotto questo profilo risibile e generico, rinviando al regolamento della Camera. Ma, d’altra parte, l’elevarsi dei quorum per l’approvazione del regolamento in questione evidenziava le insufficienze di un sistema che adottava in questa materia maggioranze spinte ai due terzi, contraddicendo cosı la conclamata normalizzazione del sistema.

D’altro canto il rafforzamento del Premier a scapito di tutti gli altri organi costituzionali, ed in particolare del Presidente della Repubblica, finiva da un lato per rompere ogni equilibrio istituzionale, dall’altro per diventare illusorio se lo stesso non può contare su una reale capacita di gestione dell’indirizzo politico. Il Primo ministro, eletto dal Corpo elettorale, ed unico referente istituzionale del circuito democratico, si trovava infatti dimezzato da una ripartizione confusa delle competenze legislative tra le due Camere, di cui una sola legata a lui istituzionalmente. Lungi dall’aver risolto il problema italiano del bicameralismo perfetto, il progetto introduceva — invece — la prospettiva di un bicameralismo ambiguo, capace di riflettersi su tutto l’assetto del rapporto centro periferia. Il nuovo art. 70 era, infatti, ostaggio di un art.

117 in cui le occasioni di conflitto rischiavano di moltiplicarsi a dismisura, anche rispetto a quelle attuali.

Infine sul piano del tipo di Stato, il rimescolamento della riforma del titolo V evidenziava come il ddl fosse strabico e potesse dare vita a contemporanei pericoli di accentramento e di centrifugazione.

3- L’innovazione in materia elettorale e la recessione del principio elettivo-La Legge 21 dicembre 2005, n. 270 ha costituito, invece, un vero e proprio colpo di maglio per tutti i discorsi relativi alla fine della transizione italiana. Essa l’ha riaperta, rivoluzionando le regole di distribuzione delle carte tra i partiti e nei partiti.

Per la Camera dei deputati e stato introdotto un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi basato su formula non maggioritaria, collegio plurinominale, scheda unica, lista bloccata, premio di maggioranza e clausole di esclusione a livello nazionale.

Per il Senato e stato invece introdotto un meccanismo di tra- sformazione dei voti in seggi basato su formula non maggioritaria, collegio plurinominale, scheda unica, lista bloccata, premio di maggioranza e clausola di esclusione a livello regionale.

Descritto in questo modo non sembra esservi molto da dire, ma se si fa il confronto con il meccanismo precedente e con la gia citata ‘‘rigidità’’ della normativa elettorale si può comprendere la portata dell’innovazione che rimette in gioco l’intero processo di transizione.

Nel ‘‘vecchio’’ sistema elettorale del 1993 era previsto:

1) un collegio locale di dimensione 1;

2) un collegio nazionale o regionale plurinominale;

3) un premio implicito all’aggregazione;

4) un potere partitocratico implicito, ma con possibilità di bi- lanciamento da parte degli elettori;

5) la permanenza di un rischio di difformità bicamerale.

Con il vecchio sistema nei collegi si presentavano i candidati collegati a partiti a loro volta collegati a livello nazionale. Il collegamento tra i partiti era empirico, cosı come gli accordi per le candidature.

Con il nuovo meccanismo in entrambe le Camere, se si esclude il caso della Val d’Aosta:

1) i collegi sono sempre plurinominali;

2) esiste un premio esplicito all’aggregazione, che però appare insufficiente per la governabilità ed ha sviluppi differenti per Camera e Senato;

3) persiste, dunque, il rischio bicameralismo,

4) e viene evidenziato un potere partitocratico esplicito.

Il ritorno alle ‘‘liste di candidati concorrenti’’ certifica la scelta

‘‘non maggioritaria’’ della normativa adottata (v. art. 1, che modifica l’art. 1 del D.P.R. 361/1957), mentre l’introduzione dell’art.14-bis prevede la possibilità di collegamento in coalizione di partiti e gruppi politici, che gli stessi depositano contestualmente al contrassegno ed al programma, nel quale viene dichiarato ‘‘il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica’’. A questo si aggiunge che ‘‘i partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano nome e cognome della persona da loro indicata come capo unico della coalizione’’, pur restando ‘‘ferme le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica previste dall’art. 92, secondo comma della Costituzione’’.

Questo curioso articolo, frutto evidentemente di un’opera di ‘‘limatura’’ che non ha impedito il permanere di rozzezze inusitate, introduce nel nostro ordinamento la figura del ‘‘capo della forza politica’’ e del ‘‘capo unico della coalizione’’. Una simile dizione ricorda quanto previsto nella legge n. 2263 del 24 dicembre 1925 sulle ‘‘Attribuzioni e prerogative del Capo del Governo, Primo Ministro e segretario di Stato’’. Si tratta, ovviamente, di una mera assonanza, che appare interessante per definire il contesto in cui convergono elementi contraddittori di tipo coalizionale, plebiscitario ed organizzativo oligarchico, che si collegano, invece, alla re- cente storia della Repubblica.

E anche da sottolineare la ripresa intensa del privilegio partitico per quanto riguarda l’esclusione dalla sottoscrizione delle liste per i partiti o gruppi politici ‘‘costituiti in gruppo parlamentare in entrambe le Camere all’inizio della legislatura in corso al momento della convocazione dei comizi’’ (novella dell’art. 18-bis del D.P.R. 361/1957) e la previsione della lista bloccata, presentata dai vertici nazionali (o regionali per il Senato) di partito, con la conseguente definitiva banalizzazione dell’art. 67 della Cost. .

In sostanza esiste un premio implicito alla differenziazione, nonostante i partiti debbano coalizzarsi per il premio e siano previste soglie di rappresentanza e di esclusione. Tutto ciò e soltanto formale, poichè essi mantengono il controllo dei candidati e sono costretti a massimizzare le distanze per raccogliere i voti dell’elettorato.

Si evidenzia, dunque, un ritorno inusitato di potere dei partiti e soprattutto dei vertici nazionali, con la mancanza di qualsiasi tipo di garanzia di democrazia infrapartitica. Al limite si può affermare che il meccanismo elettorale oggi vigente riduce oltre ogni limite la scelta dei candidati da parte degli elettori, inserendo il procedimento di preposizione dei rappresentanti nella categoria della nomina piuttosto che in quella della elezione.

Anche se questo nuovo meccanismo elettorale non deve essere‘‘demonizzato’’ per la tecnica in sè, e evidente che in esso persistono colpevolmente gli errori che gia taravano il precedente. Alcuni di questi errori sono dovuti alla natura dell’organizzazione bicamerale perfetta, altri alla mancanza di un’adeguata legislazione elettorale di contorno. Ma sopratutto il sistema e caratterizzato dalla più evidente ed incontrollata ‘‘tabe’’ partitocratica. La fine del ciclo decennale, seguito al referendum del 1993, e ironica- mente rappresentata dal trionfo delle segreterie nazionali di partito, che da un lato predeterminano come mai hanno potuto fare le liste dei candidati e degli eletti, dall’altro si lasciano mano libera per la possibilità di convergere verso il centro e rimettere in di- scussione le aggregazioni stipulate in sede di presentazione delle coalizioni elettorali.

E da notare, infine, che e stato nuovamente riformato l’art. 4 del D.P.R. n. 361/1957 ed il voto e ridivenuto ‘‘dovere civico’’, ma anche un ‘‘diritto di tutti i cittadini’’. Vittorio Emanuele Orlando sarebbe felice che a circa un secolo di distanza si sia adottata una soluzione in linea con le risultanze teoriche dei suoi studi. Tuttavia, la stessa evidenzia una incertezza anacronistica su principi non rilevabile in altri ordinamenti.

4- Altre significative stranezze- A)Prima del voto- La legge 27 gennaio 2006, n. 22 (frutto della conversione del Decreto legge 3 gennaio 2006, n. 1) riporta, poi, una singolare previsione, accanto all’introduzione del voto domiciliare per gli elettori ‘‘in dipendenza vitale da apparecchiature elettromedicali’’, della rilevazione informatizzata dello scrutinio per le elezioni politiche e di altre previsioni (tra cui adattamenti della L. 515/1993 alla nuova situazione). L’art. 3 della Legge disponeva, infatti, che per le elezioni del 2006 fosse ammessa, per la prima volta nella nostra storia elettorale, presso i seggi la presenza di osservatori internazionali dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), accreditati preventivamente dal Ministero degli Affari esteri. Una simile eventualità si inquadra nell’attività istituzionale dell’OSCE, il cui Ufficio per i Diritti umani e le Istituzioni democratiche opera, nell’Europa post-1989, il monitoraggio delle elezioni che vengono effettuate sopratutto, ma non esclusivamente, negli ordinamenti dei 55 paesi componenti. Se prima l’azione in questione coinvolgeva le democrazie in transizione, la consapevolezza delle fondamentalità dell’atto elettivo per gli ordinamenti democratici e le difficoltà di mantenere standard adeguati in materia hanno suggerito l’opportunità di estendere il ‘‘controllo’’ anche a sistemi di democrazia consolidata. In questa prospettiva dal 2002 sono state poste sotto osservazione le elezioni statunitensi, francesi, spagnole e britanniche.

Fin qui, dunque, nulla di eccezionale. Ma, a ben vedere, la disposizione adottata certifica in maniera preoccupante la ‘‘tensione’’ esistente tra i partiti sugli attuali standard di democraticità del procedimento elettorale in Italia e la volontà dell’Esecutivo di centro-destra di evidenziarla in maniera anche polemica. Un anno e mezzo fa, dopo l’insuccesso alle amministrative, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi aveva, infatti, dichiarato apertamente: quelli della sinistra « hanno un esercito di professionisti che, trattando con i dilettanti della nostra parte politica, li fa fessi, e mette voto su voto in più sul loro conto e meno sul nostro » (Corsera 21 giugno 2004). L’opposizione scandalizzata aveva reagito, sostenendo — cito il capogruppo al Senato dei DS Gavino Angius che ‘‘queste affermazioni costituiscono l’ennesimo nuovo colpo alla credibilità internazionale del nostro Paese’’.

La disposizione in questione, che non ha avuto effetti pratici perchè ‘‘gli osservatori elettorali ... non [potevano] in alcun modo interferire nello svolgimento delle operazioni dell’Ufficio elettorale di sezione’’, costituisce un’indice empirico del clima torrido in cui si sono tenute le elezioni, se la si connette con un altro intervento sempre introdotto attraverso il citato Decreto del 3 gennaio. L’art.2 dello stesso prevedeva, infatti, la ‘‘Rilevazione informatizzata dello scrutinio delle elezioni politiche’’ in un numero di seggi non superiore al 25% del totale nazionale da parte di operatori, dotati di opportuni strumenti informatici, secondo le direttive emanate dal Ministero dell’Interno e dalla Presidenza del Consiglio dei Mi- nistri Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie. Una simile disposizione riprende — ma solo in parte — la proposta che da molti anni viene evocata di informatizzare tutta la procedura di votazione e concentra, con fini evidentemente polemici, la sua attenzione sullo scrutinio ed il suo controllo.

Aggiungo che, al di là delle discussioni propagandistiche tra i partiti e la denunzia degli eventuali brogli contro cui e necessario tenere sempre alta la guardia (il caso delle elezioni presidenziali USA nel 2000 e quello del voto per corrispondenza in Gran Bretagna l’anno scorso sono indicativi), ciò che preoccupa in tutto questo sono anche due profili strettamente giuridici ed uno economico.

In primo luogo, anche se lo scrutinio informatico non aveva un valore legale in caso di discordanza con quello manuale, l’operatore informatico che agiva all’interno del seggio non e stato nominato dalla Commissione elettorale comunale, ma dal Ministro per l’innovazione e le tecnologie; in secondo luogo, anche per questo intervento, e stato utilizzato lo strumento del Decreto legge in una materia (quella elettorale) coperta da riserva di legge d’Assemblea ai sensi dell’art. 72, comma 4 della Cost. e su temi che non rilevano in modo evidente la necessita ed urgenza richiesta dal Decreto legge. Infine, la spesa per la sperimentazione in mate- ria (di circa 35 milioni di Euro, di cui 20 milioni tratti dal fondo per le cosiddette aree ‘‘depresse’’), evidenzia il costo dell’esperimento, ma sopratutto le dimensioni della spesa per una completa informatizzazione del settore.

B)Dopo il voto-L’epilogo delle elezioni generali politiche del 2006 e stato, in sostanza, controverso e non soltanto per i dati concreti, che ve- dono il pericolo di una ingovernabilità del Senato.

Il risultato e stato contestato in vario modo dagli esponenti del centro-destra. Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio uscente, ha iniziato sostenendo che le schede contestate alla Camera dei deputati erano sufficienti a ribaltare l’esito della partita; lo ha seguito Mirko Tremaglia, ministro per gli italiani all’estero, che ha richiesto la ripetizione del voto per questa categoria di cittadini, viste le numerose irregolarità nel procedimento; ha concluso Roberto Calderoli, già ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione, che ha dichiarato inammissibile il collegamento di una lista regionale autonomista con la coalizione del centro-sinistra.

Il caso proposto da Berlusconi si e fondato ‘‘formalmente’’ su un errore del Ministero dell’Interno, che aveva sommato schede contestate vere e proprie con le schede ‘‘nulle’’ o ‘‘bianche’’, dando l’impressione che il numero dei voti da attribuire potesse ancora mettere in forse il risultato della Camera dei deputati (v. comunicato stampa del Ministero dell’Interno del 14-04-2006). Sostanzialmente esso e servito a mantenere alta la tensione, non concedendo all’avversario l’ammissione della sconfitta.

L’on. Tremaglia ha, da parte sua, denunciato « gravi irregolarità » nelle operazioni di voto degli italiani all’estero ed ha chiesto l’iterazione del suffragio al di fuori del territorio nazionale (v. Il Giornale, 14 aprile), in quanto accanto ad errori politici (la frammentazione del centro-destra) — il dieci per cento degli aventi diritto non avrebbe ricevuto il plico elettorale, mentre ‘‘48mila 277 schede [sarebbero] state votate, ma [poi sarebbero] giunte in ritardo ai consolati e quindi incenerite’’. Tremaglia ha aggiunto anche che, in alcune situazioni, la ‘‘propaganda elettorale dell’Unione’’ sarebbe stata inviata assieme ai plichi contenenti le schede. Simili denunzie sono ad avviso di chi scrive realistiche e confermano previsioni che erano state fatte da anni. Tuttavia esse paiono ‘‘colpevolmente’’ tardive da parte del padre della legge sul voto all’estero e non affrontano il vero problema dell’incostituzionalità complessiva del voto per corrispondenza, che lede palesemente la personalità, la liberta e la segretezza del voto, per non parlare della sua eguaglianza.

La ‘‘boutade’’ di Calderoli è giunta, invece, in ritardo ed a freddo sulla base dell’articolo 83 della legge elettorale della Camera (Decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361). L’on. Calderoli sostiene che poichè il punto 2) del primo comma dell’articolo in questione recita che l’Ufficio centrale nazionale ‘‘determina ... la cifra elettorale nazionale di ciascuna coalizione di liste collegate, data dalla somma delle cifre elettorali nazionali di tutte le liste che compongono la coalizione stessa, nonchè la cifra elettorale nazionale delle liste non collegate ed individua quindi la coalizione di liste o la lista non collegata che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi’’ — la cifra elettorale nazionale della Lega Autonomia Alleanza Lombarda

(alleata di Prodi) sarebbe pari a zero, perchè i 44580 voti della stessa sono stati ottenuti nella sola circoscrizione Lombardia 2. La mera lettura dell’art. in questione evidenzia la pretestuosità del rilievo di Calderoli, che riprende la strategia della contestazione del risultato, attenuatasi nel caso delle schede contestate.

La Casa delle libertà ha anche pensato di mettere in dubbio l’applicazione della legge elettorale per il caso del Trentino-Alto Adige, dove si e votato con regole peculiari (v. sempre l’art. 83 D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361). In discussione sarebbero i voti delle liste che raggiungano il 20% dei voti su base regionale, ma restino sotto il 4% nazionale. L’on. Nicolò Ghedini di Forza Italia ed avvocato dell’on. Berlusconi si è chiesto se queste liste partecipino al ‘‘riparto’’ dei seggi a livello nazionale o regionale. Ad avviso di Ghedini se partecipassero al riparto regionale, come egli pensa sia giusto, allora quei voti non potrebbero essere conteggiati su base nazionale per la Camera.

Giunto a questo punto, mi fermo, perchè risulta evidente che i ricorsi sono presentati non per acclarare la giusta procedura, ma costituiscono solo un mezzo per allungare i tempi di proclamazione dei risultati sulla base di una tecnica processuale sperimentata negli ultimi anni con successo in ambito penalistico.

Ma le dispute elettorali non sono una prerogativa esclusiva della Casa delle Libertà. All’interno del centro-sinistra alcune liste, che hanno ottenuto un risultato inferiore al 3% dei voti espressi nell’ambito delle singole circoscrizioni regionali per l’elezione del Senato, hanno, infatti, contestato l’eventuale interpretazione della legge (derivante dalla pubblicazione sul sito del Ministero dell’Interno del riepilogo degli scrutini), che le escluderebbe dalla ripartizione dei seggi.

La questione relativa alla procedura di allocazione dei seggi del Senato della Repubblica e di tipo strettamente tecnico, ma possiede una grande rilevanza politica per la stessa tenuta della maggioranza di centro-sinistra ed e stata sollevata da ‘‘La Rosa nel pugno’’ e da altre liste del centro-sinistra. A differenza dei casi sollevati dalla Casa delle Liberta la redistribuzione dei seggi non avverrebbe tra gli schieramenti, ma all’interno di quello di centro- sinistra, riqualificando i delicatissimi rapporti di forza nell’ambito dello stesso.

Riassumo la questione. Com’e noto, ai sensi dell’art. 1 del Decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533-Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica, cosı come modificato dall’art. 4 della L. 21 dicembre 2005, il Senato e eletto su base regionale e l’assegnazione dei seggi tra le liste concorrenti e effettuata in ragione proporzionale, con l’eventuale attribuzione del premio di coalizione regionale.

La ricordata normativa attribuisce all’Ufficio elettorale regionale una serie precisa di compiti e segnatamente:

1. ai sensi dell’art. 16, l’Ufficio in questione:

1.1. determina la cifra elettorale di ogni lista;

1.2. individua le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano regionale almeno il 20% dei voti validi espressi e che con- tengano almeno una lista collegata che abbia ottenuto il 3% dei voti validi espressi;

1.3. individua le singole liste non collegate che abbiano conse- guito sul piano regionale almeno l’8% dei voti validi espressi;

1.4. individua le liste che, pur appartenendo a coalizioni sotto il 20%, abbiano ottenuto almeno l’8% dei voti validi espressi;

2. ai sensi dell’art. 17 lo stesso Ufficio elettorale regionale:

2.1. procede ad una prima attribuzione provvisoria dei seggi tra le coalizioni di lista e le liste precedentemente individuate al- l’art. 16, comma 1, lettera b);

2.2. verifica se la coalizione di liste o la singola lista che ha ottenuto il maggior numero di voti validi espressi abbia conseguito almeno il 55% dei seggi assegnati, con arrotondamento al- l’unita superiore;

3.3. nel caso vi sia una coalizione o una lista che abbia raggiunto il 55% dei seggi, assegna i seggi tra le liste che abbiano conseguito sul piano circoscrizionale almeno il 3% dei voti validi espressi;

3.4. nel caso in cui non vi sia alcuna coalizione o lista che abbia raggiunto il 55% dei seggi:

3.4.1. assegna alla coalizione di liste o alla lista con il maggior numero di voti il numero di seggi necessario per raggiungere la quota del 55% dei seggi;

3.4.2. assegna alle altre coalizioni di liste ed alle altre liste i seggi residui;

3.4.3. ripartisce i seggi spettanti per ciascuna coalizione di liste dividendo il totale delle cifre elettorali circoscrizionali delle liste ammesse al riparto ai sensi dell’articolo 16, comma 1, lettera b), numero 1), per il numero dei seggi ad essa spettanti. Il quoziente così individuato costituisce il denominatore della ulteriore divisione operata sulla base delle cifre ottenute dai singoli partiti coalizzati.

Dall’esame della procedura individuata dal citato T.U. si con- ferma come esista una difformità nella ripartizione dei seggi nel caso la coalizione di liste o la lista vincente abbia o meno ottenuto il 55% dei seggi. Nel primo caso la ripartizione avviene tra le liste che abbiano ottenuto il 3% dei voti validi espressi; nel secondo questa previsione viene meno, eliminando ogni soglia di sbarra- mento.

Le ragioni che hanno portato alla citata difformità possono essere varie, ma non rilevano in sede di applicazione della norma, che deve essere messa in pratica nella sua versione derivante dalla interpretazione letterale, d’altro canto perfettamente coerente. L’Ufficio elettorale regionale non possiede in questo caso alcuna discrezionalità interpretativa in una materia come quella del meccanismo di trasformazione dei voti in seggi, che coinvolge diritti fondamentali come quelli di partecipazione politica.

Per quanto riguarda il problema concreto degli effetti della corretta applicazione della legge vigente, dai dati elaborati dall’on. Boato alcuni seggi attribuiti ai DS, a Rifondazione ed alla Margherita avrebbero dovuto essere assegnati a ‘‘La Rosa nel pugno’’, a ‘‘Insieme per l’Unione’’ e alla lista Di Pietro. Ciò spiega alcuni pareri ‘‘imbarazzati’’ di consulenti dello stesso centro-sinistra ed il silenzio delle maggiori formazioni di questa coalizione .

5- Un commento-In conclusione, un fatto pare, però, evidente. Mentre le contestazioni sulla allocazione dei seggi del Senato evidenziano incertezze sull’applicazione della legge vigente, le altre paiono senza reale fondamento oppure così complessive da essere inaccettabili. Esse, tuttavia, evidenziano ciò che si sapeva da tempo: da un lato, che il ceto politico italiano e caratterizzato da tendenze centrifughe, che contraddicono le premesse poste alla base dell’utilizzazione di strumenti maggioritari (dal collegio uninominale maggioritario allo stesso premio di maggioranza) adottati in questi anni; dall’altro, che il piano procedimentale risulta sotto forti tensioni, rischiando di avvitarsi con le tensioni politiche in una tendenza al ribasso degli stessi standard di democraticità della contesa elettorale. In questo senso la richiesta operata dall’on. Berlusconi il 6 aprile 2006 di osservatori ONU per le elezioni italiane (una richiesta da paese del terzo mondo che si collega ed e coerente con la previsione legislativa di gennaio sulla presenza degli osservatori OSCE) si inquadra in una consapevole strategia di innalzamento incrementale della tensione, che vuole raggiungere lo scopo politico della delegittimazione dell’avversario. Un obbiettivo questo che rischia di essere ‘‘affettuosamente’’ restituito con effetti negativi incalcolabili di tipo sistemico.

Una simile situazione risulta insostenibile per la stabilità del sistema politico-costituzionale. Il nostro ordinamento deve affrontare nella XV legislatura compiti impervi nell’ambito della politica economica, della politica sociale e della politica estera con una maggioranza ‘‘quasi inesistente’’ al Senato ed in presenza di un persistente bicameralismo perfetto.

La necessità di recuperare un minimo comune denominatore per affrontare i compiti più urgenti appare evidente: non e solo la stampa estera che ce lo chiede, ma la ragione. Tuttavia la strada per pervenirvi non sarà facile: la ‘‘Grosse Koalition’’ pare una prospettiva difficile visti rapporti ‘‘impossibili’’ tra gli eventuali ‘‘partner’’; un Governo tecnico, presieduto da una ‘‘autorevole personalità’’, rappresenterebbe una soluzione precaria e richiederebbe la convergenza di troppi fattori e la persistenza di una intrinseca debolezza; una riqualificazione dei poli contrapposti verso il centro appare, in questo momento, ancora prematura. L’ordinamento dovrà subire la crisi per un bel po’, per poi accorgersi che la salvezza sta nell’individuazione di punti di convergenza efficienti che superino gli egoismi partigiani del momento.